Il dragone smette di correre
La seconda rivoluzione cineseLe donne fuggono dalla fabbrica
di Ugo Bertone Li Qinglin, 23 anni, figlia della nuova Cina, di una cosa è sicura: non andrà mai a lavorare alla Foxconn, l’immensa fabbrica-caserma dove nascono gli iPad. Ma la Foxonn permette comunque alla giovane Li di garantirsi uno stipendio più che dignitoso. Davanti al cancello dello stabilimento di Zhenzhou, uno dei più piccoli (solo 192mila operai...) l’intraprendente figliola ha messo su un banchetto a mo’ di ufficio di collocamento sotto un ta tse bao che recita il seguente slogan: «Lavorate vicino a casa con uno stipendio di 1.800 yuan!», ovvero 285 dollari al mese, tanto quanti ne offre la Foxconn. A cui vanno aggiunti altri 50 dollari una tantum come premio d’ingaggio versati in contanti da Li, grazie a sovvenzioni del governo locale. L’episodio, narrato dal Financial Times, serve a inquadrare meglio la congiuntura della Cina, a meno di venti giorni dall’inizio del congresso del Partito che segnerà, dopo dieci anni , la staffetta ai vertici. A prima vista, la frenata dell’economia cinese fa quasi paura. Rispetto a 12 mesi la crescita del prodotto interno lordo è scesa di due punti percentuali, dal 9,3 al 7,4 per cento. Certo, si tratta di percentuali comunque stellari di fronte ai numeri di casa nostra. Ma solo due anni, nel 2010, il Drago cinese cresceva del 12%. Bisogna risalire al 1990 per ritrovare una crescita così misera, attorno al 7,6%. Ma nel ’90, sotto l’onda di Tien an Men, la Cina era ai margini dell’economia mondiale, oggi è al contrario il primo o il secondo partner commerciale di ben 78 Paesi. Un colosso, si ripete da tempo, che non può permettersi il lusso di rallentare, pena l’esplosione di conflitti sociali devastanti. Non più tardi di quattro anni fa, dopo lo scoppio della crisi americana, il premier Wen Jiabao aveva lanciato lo slogan «Bao ba» che sta per «difendiamo quota otto» e aveva inondato l’economia di fiumi di denaro pur di contrastare la recessione. Per questo motivo, quando lo stesso Wen sei mesi fa ha previsto che «il Pil non sarebbe cresciuto più del 7,5%», la maggior parte degli analisti non l’ha preso sul serio: probabilmente, era il ragionamento, si tratta di una manovra precongressuale, una mossa tattica per obbligare i «nemici» dell’ala sinistra del partito, a venire allo scoperto. Oppure un messaggio destinato agli americani, che insistono a chiedere la rivalutazione della moneta cinese. Al contrario, sembra proprio che quello di Wen non fosse un bluff. Ma la vera sorpresa è che, lungi dal provocare disastri o tensioni pericolose alla vigilia dell’arrivo di migliaia di delegati del partito a Pechino, la frenata non suscita proteste, a differenza di quanto era successo nel 2008. Le statistiche, al proposito, segnalano fenomeni inattesi: l’economia rallenta ma quest’anno gli occupati nel Sud-Est, l’area forte del Drago, sono cresciuti di 10 milioni di unità a quota 169 milioni. Certo, in Foxconn cresce la protesta. Ma anche i salari, che registrano un’ascesa del 9,8% negli ultimi dodici mesi. Comunque insufficienti, seppur largamente superiori alla media, a garantire al colosso che sforna iPad e iPhone la manodopera necessaria. Fenomeno che non riguarda solo il colosso dell’elettronica: da un sondaggio su 200 aziende industriali, risulta che siano scoperti il 30% dei posti. La spiegazione del mistero sta nella demografia. Ormai la Cina fa i conti con la politica del figlio unico, imposta alle famiglie negli anni Novanta. Il Drago cinese ha pochi giovani da immettere nella vita delle fabbriche. E, a complicare le cose, sta il fatto che le donne (vittime della politica del figlio unico che ha portato molti contadini a sopprimere le neonate) sono assai meno numerose dei maschi. Un bel guaio per Foxconn o altre aziende avanzate, che preferiscono manodopera femminile sempre più rara perché le ragazze, da quel che si legge sui siti e nei giornali, anche fuori Pechino e Shanghai scelgono di fare la segretaria piuttosto che l’operaia. Il Drago, in somma, ha cambiato pelle. La nuova dirigenza del Partito, impersonata da Ji Jinping ne terrà conto sicuramente conto: inutile scaldare la locomotiva dell’industria se la politica del denaro facile provoca, com’è successo, il boom dei prezzi immobiliari rendendo impossibile a impiegati e operai comprare la casa. Meglio assecondare la tendenza all’aumento dei salari e dai consumi leggeri. Meglio, insomma, 100 borse in più di un trattore. Le conseguenze? Un secolo fa, ironizza l’Ft, la notizia di un’epidemia in Cina con 36 milioni di morti meritava una breve sui quotidiani. Oggi però, col Drago primo o secondo partner commerciale per 78 Paesi, questa metamorfosi avrà effetti planetari. Ci rimetteranno i Paesi produttori di materie prime, Brasile o Sudafrica; qualche problema l’avranno pure tedeschi o giapponesi. Facile che il made in Italy possa avere qualche opportunità in più: dopo aver fornito la Ferrari ai milionari, potremmo vendere lusso low cost alle segretarie di Pechino.