Ipocrisia pubblicitaria
Ecco gli spot più belliChe però non vedremo mai
di Tommaso Labranca L’italiano è per natura esterofilo. Ama le grandi conquiste dei Paesi stranieri, ma non le applica in ambito domestico. Quanti discorsi fatti al Bar Sport per celebrare la leggendaria libertà sessuale delle svedesi: «Vai a trovarli e quelli ti offrono la moglie, le figlie girano mezze nude per casa, un paradiso». A casa invece vigeva il diktat: «Rosalia, componiti». Da quando ci sono le società di produzioni televisive, questa esterofilia di comodo ha fatto passi da gigante. Parli con la sgamata produttrice di format e quella ti racconta dei meravigliosi serial inglesi visti al Midem di Cannes, «cose cattive, quasi crudeli, ma scrolliamoci di dosso questo buonismo, una volta per tutte!». Le proponi allora una sit com in cui la protagonista è una lesbica ebrea, sorda e in carrozzella che combina scherzi micidiali alla sua badante... «Ah no! Da noi non si può fare!» Già, perché c’è sempre una associazione di madri di famiglia, un alto prelato o un blogger di sinistra che interviene come Sordi in Il Moralista, censurando tutto di al grido di «come te movi te fulmino». Fortunati gli anglofoni che possono fare quello che vogliono e hanno la faccia tosta di istituire addirittura un premio per la campagna pubblicitaria più politicamente scorretta. È il Chip Shop Awards, un riconoscimento che dal 2002 premia le idee più malvagie, offensive e di pessimo gusto con cui si sfogano i pubblicitari. Quelli che, in tutto il mondo, sudano ogni giorno per trasformare in un momento simpatico il cambio dei pannolini e in un’occasione intrigante una traspirazione ascellare esagerata. Quest’anno, scelti come al solito da una giuria che racchiude nomi prestigiosi nel settore dell’advertising anglosassone, i progetti vincenti sono meravigliosamente marci. Cominciamo proprio dal cambio dei pannolini, motivo che spinge molte coppie a rinunciare a un figlio più di quanto faccia la paura della crisi. Mentre le campagne reali sono piene di cuccioli e fiorellini, quella che ha vinto nella sezione dei Progetti Rifiutati dal Cliente va al sodo: la cacca. Un bambino in primo piano piange e al fianco c’è la scritta «Shit happens». È un modo di dire gergale che invita a sopportare le piccole disgrazie, ma che in questo caso rinuncia a ogni metafora per assumere una concretezza che alla Pampers non è piaciuta. E vai di cucciolini. Tra gli argomenti di cui non si deve parlare in società oltre agli escrementi c’è anche Adolf Hitler. Nel progetto, realizzato per la Società Danese del Frisbee e che ha vinto la sezione Miglior Lavoro Politicamente Scorretto, il cupo dittatore coi baffetti fa il saluto nazista, quello che la stampa buonista, e in malafede, vede in qualunque tedesco ripreso mentre fa stretching. È bastato aggiungere un frisbee vicino alla mano per fare di Hitler una marionetta ridicola. Una risata vi seppellirà. Ma gli ex rivoluzionari del nostrano 77 oggi hanno dimenticato Bakunin e, ormai paralizzati su Twitter, gemerebbero scandalizzati di fronte a una immagine simile. Per chi preferisce la cronaca alla storia, ecco una geniale rielaborazione della pubblicità Ray Ban che, nelle versioni classiche, presenta alcuni anonimi personaggi alla prese con azioni un po’ cretine e invitano a non nascondersi mai. Never hide: il consiglio colpisce molto di più se accompagna un primo piano del defunto Colonnello Gheddafi, colui che ha passato gli ultimi mesi della sua vita nascondendosi prima di essere beccato da un ragazzino scemotto come quelli che saltano nei veri manifesti Ray Ban. Ammettiamolo: quando ci infastidisce il solito suicida che decide di buttarsi sotto il metro all’ora di punta, facendoci accumulare ritardo? Ecco perché plaudo alla campagna che ha vinto il Gran Premio del Chip Shop, quella in cui l’azienda della metropolitana londinese mostra la sedia caduta di un impiccato, un tostapane nella vasca da bagno, un flaconcino di barbiturici con la scritta: «Uccidetevi a casa». Netti, puliti, taglienti, eleganti. Questi gli aggettivi che mi vengono in mente guardando questi poster, laddove qualche mamma-giornalista avrebbe trovato volgarità, cattiveria e kitsch. Termine di cui non sa il significato, ma che va bene su tutto, come un foulard di Hermès. La morte è un argomento tabù, a volte si evita di parlarne persino ai funerali. Del defunto si deve solo parlare bene. Quanto liberatoria risulta allora il manifesto in cui Bill Gates rivela un motivo in più per regalarci il suo sorriso da nerd con al fianco la scritta iWon? Ho vinto, messo però con la stesso stile dei nomi dati ai prodotti lanciati dal nemico di sempre, Steve Jobs, che ha perso un anno fa. Chi muore giace, chi vive vince il premio per il migliore manifesto di cattivo gusto. Tutti i soggetti premiati mi danno un brivido di piacere nero, ma uno in particolare lo appenderei in casa. È quello della Vanish, il liquido sciogli macchia che nella pubblicità canonica fa precipitare su candide camicie gelati, pomodori, inchiostri, pizze e timballi. Qui invece diventa mistico e fa miracoli. Guardate cos’ha fatto alla Sindone, ha cancellato persino le bruciature. E alla fine lancia soddisfatto il suo claim: Vanish, la resurrezione del bianco. C’è materiale a sufficienza per imbastire almeno cinque puntate di Porta a Porta con ospiti un anatemico vescovo di qualche provincia abruzzese, Walter Veltroni che piange ricordando Papa Giovanni, Nichi Vendola che diserta una riunione sull’Ilva per venire a parlare dei danni ambientali prodotti dagli scioglimacchia e Klaus Davi che passava di lì per caso.