Così fan tutti
L’inquadratura non era delle migliori e neanche l’audio era perfetto. Ma quei pochi minuti rubati dentro l’abitacolo dell’auto messagli a disposizione dalla Lega sono stati per Renzo Bossi il colpo di grazia. Più di un editoriale, più di una testimonianza o di un atto di accusa, la nonchalance con cui prendeva le banconote messe di fianco alla leva del cambio dal suo autista, per poi infilarsele in tasca, ha rappresentato la fine della sua già vacillante carriera politica. In un partito come il Carroccio, dove gli elettori odiano la Casta e vedono in ogni politico un emissario dello Stato parassita e oppressore, già era dura sopportare che un ragazzotto arrogante e ignorante sedesse in Consiglio regionale ripagato da un superstipendio, ma doverlo pure vedere mettersi in tasca soldi pubblici per le sue spese si è rivelato troppo. Acquisti in farmacia, scontrini del bar, ricevute del ristorante, il conto della benzina: tutto era spesato. L’autista ritirava il contante e lo passava al Trota, al quale non sembrava neppure strano che il partito gli desse la «mancia» per le esigenze della settimana. Dicono che ora debba stare attento a uscire di casa: già tra le camicie verdi non era molto amato prima, adesso, dopo tutto quello che ha combinato, rischia, invece dei rimborsi, di ricevere una valanga di botte. Il figlio del Senatur è probabilmente il simbolo di una stagione alla fine. L’immagine di un potere, quello dei partiti, che per la seconda volta in vent’anni si è consumato a causa di un eccesso di tracotanza. Il senso di impunità con cui il giovanotto incassava in contanti nonostante il lauto emolumento segnerà un’epoca. Ma attenzione, sbaglierebbe chi pensasse al Trota come a un caso limite. Ancor di più chi ritenesse che il sistema fosse in uso solo all’interno della Lega, dove cioè l’assoluta identificazione del movimento con il capo aveva portato a confondere la cassa pubblica con quella della famiglia. In realtà, in tutti i partiti esiste una cassa continua che alimenta le quotidiane esigenze dei vertici e dei loro portaborse. Lo si capisce dall’uso che faceva dei rimborsi elettorali il tesoriere della Margherita. Senza che vi fossero controlli di alcun tipo, né revisione a posteriori, Luigi Lusi si concedeva vacanze e pranzi luculliani. Un caso limite anche quello? Io credo che in molti partiti, se si facesse la spunta delle note spese, si troverebbero ricevute di pagamento difficilmente compatibili con l’attività politica. Del resto, che la Casta non si accontenti del ricco stipendio che viene garantito da Parlamento e istituzioni varie lo si può dedurre anche da un interessante servizio pubblicato ieri dal quotidiano Italia Oggi. A pagina 7, sotto al titolo «Quel plafond illimitato di Fini», il giornale spiegava che le spese di rappresentanza sono uno dei privilegi della Camera, cui accedono oltre al presidente, anche i suoi vice, i questori e i segretari. Di che si tratta? Di un fondo spese di rappresentanza al quale i vertici di Montecitorio possono accedere qualora ne abbiano bisogno. Non si tratta di una parte dell’emolumento, già piuttosto cospicuo, ma di un qualcosa che si aggiunge. Nel caso di Gianfranco Fini, oltre ai 20.498 euro netti, egli avrebbe dunque la possibilità di farsi rimborsare tutto il resto, cioè immaginiamo le spesucce che non gli pagano direttamente gli uffici della Camera. Nel pomeriggio il portavoce di Fini si è affannato a gettare acqua sul fuoco, precisando che il presidente non ha mai speso un centesimo del fondo di rappresentanza, ma non ha potuto negare che la dotazione esista. Che ci si fa con quei soldi allora? Vengono accumulati e mai restituiti al ministero dell’Economia? Oppure li si trattiene in attesa di eventi futuri o spese impreviste? Per ora non è chiaro. Ma se resta da capire a cosa serva il plafond illimitato e come venga usato, una cosa è certa. Nonostante il Parlamento eroghi un assegno per le spese di diaria e un altro per quelle di viaggio, molti onorevoli finanziano la loro attività, e non solo, con denaro che proviene dalle casse del partito, cioè vale a dire dal contribuente. Certo, magari non sono così malaccorti da farsi filmare mentre prendono un blocchetto di banconote, ma abbiamo la sensazione che l’uso di certe carte di credito non sia molto diverso da quello che ha indotto il Trota alle dimissioni. Nella Lega però c’è qualcuno che canta e filma (ma che strani tesorieri e autisti hanno nel Carroccio: i primi si confessano al telefono ignorando le intercettazioni, i secondi fanno i filmati), negli altri partiti invece sono muti come pesci. Quelle sono le vere Trote. di Maurizio Belpietro