L'editoriale
La luna di miele, anzi di melassa, è finita. Dopo quattro mesi di elogi a tutta pagina, la stampa specializzata è tornata a far di conto, scoprendo che quelli di Monti non tornano. Così, all’unisono il Financial Times e il Wall Street Journal, le fonti cui si abbeverano investitori e banchieri di tutto il mondo, hanno espresso dubbi sull’efficacia dell’azione messa a punto dal bocconiano. Gli argomenti sono più o meno quelli che Libero va ripetendo da diverse settimane: senza un piano per la crescita la cura imposta dal governo dei tecnici rischia di aggravare la malattia dell’Italia. In assenza di tagli per recuperare risorse che rifacciano partire l’economia, l’aumento delle tasse finirà per strangolare ancor di più i consumi e, di conseguenza, il prodotto interno lordo con l’inevitabile calo delle entrate. Niente di nuovo, insomma. Solo che ora a dirlo non siamo solo noi, nei confronti dei quali l’esecutivo fa spallucce, ma anche i quotidiani che prima incensavano il professore. La stampa di settore adesso è preoccupata che l’austerity impostaci da Palazzo Chigi, dietro insistenza del duo Merkel-Sarkozy, ci faccia fare la fine della Grecia. I segnali del resto non sono incoraggianti. Standard and Poor’s, la solita agenzia specializzata in previsioni economiche, stima che l’anno prossimo molti Paesi dell’Europa torneranno a crescere, ma tra questi purtroppo non include il nostro. Nel frattempo lo spread, quello che aveva recentemente indotto Mario Monti a invitare gli investitori asiatici a rilassarsi perché in Italia le cose andavano a gonfie vele, è tornato a salire. Non siamo ancora ai livelli dello scorso anno, ma l’indice non scende sotto i 350 punti e non si tratta di un buon segno. Come se non bastasse, mentre traballa uno dei successi più propagandati dall’ufficio stampa governativo, cioè la discesa dei punti nei confronti del bund tedesco, ecco vacillare un’altra delle riforme che il presidente del Consiglio ha annunciato con una certa fierezza in Oriente. La legge per cambiare il lavoro a forza di ritocchini si è infatti trasformata in un mostro e adesso tutti la ripudiano. Non la vuole il sindacato, cui piacerebbe conservare quella esistente, ma neanche le associazioni degli imprenditori, dei banchieri e perfino delle cooperative. Dopo l’ultimo vertice segreto tra il premier e i leader dei partiti che lo sostengono, in cui si è deciso di rimettere nelle mani del giudice i reintegri per licenziamento con motivi economici, le organizzazioni di categoria hanno invitato Monti a buttare nel cestino le nuove norme. Meglio lasciar le cose come stanno piuttosto di partorire una specie di Frankenstein che non piace a nessuno. Con le modifiche introdotte nella notte, invece di semplificare la vita alle imprese, si rischia infatti di complicargliela. Per ogni lavoratore allontanato si finirebbe inevitabilmente di fronte ai giudici, i quali si sa, oltre a essere poco propensi a dar ragione alle aziende, per pronunciarsi usano tempi biblici. Altro che maggior flessibilità, come anche ieri chiedeva il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi: qui si va verso una maggior rigidità. Dunque, a quattro mesi dal suo insediamento, il bilancio del governo di sapientoni è piuttosto scarso. Le liberalizzazioni sono poca cosa, non certo quella riforma epocale che era stata annunciata: alla fine ci si è limitati ai farmacisti, salvando le banche. La riforma delle pensioni, che sembrava ben impostata, in realtà è stata scritta senza tener conto delle 350 mila persone che avrebbero dovuto lasciare il lavoro per effetto di accordi già presi. Risultato: adesso questi non hanno né posto né pensione e nessuno sa come potranno tirare a campare nei prossimi anni. Le semplificazioni, invece di disboscare il groviglio di leggi che strangola le imprese, hanno lasciato praticamente tutto come prima, aggiungendo anzi qualche cappio in più, come per esempio il ritorno al vecchio registro clienti. Neanche le tasse sembrano essere riuscite alla perfezione, tanto che in tutta fretta il governo ha dovuto disporre il pagamento del 50 per cento dell’Imu sull’aliquota minima, perché quella massima non era ancora stata fissata. Per concludere l’opera, ora si prepara il naufragio della riforma del mercato del lavoro: dopo aver mostrato i muscoli, Monti ha piegato la testa. Di fronte a Bersani. Insomma, più che il governo dei tecnici questo sembra il governo dei pasticcioni. Il guaio è che negli ultimi giorni se ne sono accorti anche all’estero. Chissà dunque cosa risponderebbero ora i giornalisti di Time, che al nostro premier dedicarono una copertina dal titolo: «Può questo uomo salvare l’Europa?». Da salvatore a oppressore il passo può essere breve. di Maurizio Belpietro