L'editoriale

Andrea Tempestini

Non so se Mario Monti abbia imparato le furbizie della politica. Di certo ha appreso come si fa a negare di aver detto una frase nonostante vi siano testimoni pronti a dimostrare il contrario. Forse ha ragione Eugenio Scalfari quando sostiene che il governo attualmente in carica è tutt’altro che tecnico. Per il fondatore di Repubblica l’esecutivo è infatti più politico di molti altri che l’hanno preceduto. La tesi si può discutere, ma è certo che gran parte dei nostri ministri si è adeguata in fretta al circo mediatico che la circonda. Non passa settimana che non dichiari e non frequenti  i talk show. E, come è normale per chiunque parli a ruota libera, quando la fa fuori dal vaso (e succede almeno una volta alla settimana), per rimediare dà la colpa ai giornalisti. È successo anche ieri. Il premier dopo le esternazioni dei giorni precedenti ha fatto macchina indietro, sostenendo di essere stato frainteso e addossando la responsabilità ai cronisti. I quali, ovviamente, di pecche ne hanno parecchie, ma quasi sempre meno dei politici. E a proposito di chiacchiere a ruota libera: essendo in vena di confidenze, il presidente del Consiglio si è pure lasciato andare ammettendo che non tutte le misure varate da dicembre in poi sono da considerarsi eque. Anzi, sono pure un po’ rozze. Il senso del discorso del capo del governo è il seguente: per scongiurare di finire come la Grecia, con le tasse non siamo andati troppo per il sottile e là dove abbiamo visto un po’ di ciccia, abbiamo tagliato. Ragionamento franco, che ammette quanto già immaginavo e cioè che l’esecutivo per far quadrare i conti ha operato come gli  veniva più facile: ha inasprito le imposte. Altro che governo dei sobri, questo è il governo dei rozzi.  Macché spending review, balance control e altre fumose locuzioni anglosassoni. Per far bella figura con l’Europa e placare i mercati si è agito come facevano i governi della prima Repubblica, ovvero usando la leva fiscale. Peccato che caricando di tasse i contribuenti italiani si rischia di ammazzarli e con loro di far secca anche l’economia del Paese, come dimostra il numero impressionante di imprese che ogni giorno sono costrette a serrare i battenti. Sarà per questo che, ad appena quattro mesi dal suo insediamento, la luna di miele con l’esecutivo è già finita. Non solo in Parlamento, dove fiducia dopo fiducia il numero di deputati e senatori che lo sostengono è sempre minore, ma anche fra gli elettori. Partiti con un consenso straordinario, da salvatori della patria, Monti e i suoi ministri perdono giorno dopo giorno l’appoggio degli italiani. L’erosione si è fatta sentire in particolare nelle ultime settimane, da quando cioè il governo ha varato la riforma del mercato del lavoro e i dipendenti hanno trovato nelle loro buste paga la sorpresa delle addizionali Irpef regionali. In base agli ultimi dati, solo quattro italiani su dieci oggi sostengono l’esecutivo, ma la tendenza è al ribasso ed è probabile che con l’arrivo dell’Imu il calo si accentui. In pratica, i nodi di una soluzione tecnica approntata in tutta fretta per far uscire di scena il Cavaliere stanno venendo tutti al pettine. L’assenza di un mandato popolare in seguito ad elezioni, unita alla mancanza di una maggioranza chiara e definita, si sta rivelando un handicap determinante per la prosecuzione del governo. Il ricatto dello spread e la pressione della Ue hanno funzionato nella fase acuta della crisi finanziaria, ma ora che l’indice dei nostri titoli di Stato è calato e la massa del debito pubblico piazzata, tornano i problemi irrisolti. Non un solo euro di spesa pubblica inutile è stato tagliato e anche quella che si annunciava come una riforma epocale in grado di far ripartire il mercato del lavoro sta diventando, nel gioco dei ricatti delle forze politiche, una riformetta. Insomma, di questo passo si rischia di dover rimpiangere i politici. I quali, è vero, spesso raccontavano balle. Ma almeno non avevano la pretesa di farci la morale.