L'editoriale
Siamo nelle mani di Renzi. Speriamo non rottami l'Italia
Finirà che per far sloggiare Letta dovranno chiamare la Gondrand. Già, perché l’uomo divenuto premier per un assoluto caso (se Bersani non si fosse intestardito a voler fare un governo di sinistra senza averne i numeri oggi a Palazzo Chigi ci sarebbe Pierluigi) non vuole traslocare: s’è attaccato alla poltrona e non intende mollarla. Non importa che il suo sia l’esecutivo più immobile del mondo, né che in dieci mesi abbia visto peggiorare i principali indicatori economici senza neppure il più timido segno di ripresa. Non lo preoccupa neppure di essere stato preso a martellate dal segretario del suo partito e successivamente dal presidente di Confindustria. Come quei ragazzini che non si rassegnano alla sconfitta, Letta continua a ripetere che la partita non è finita e che si deve giocare ancora il secondo tempo. Al contrario ormai si sono conclusi pure i supplementari e la sconfitta è netta. Altro che patto di coalizione, di cui il presidente del Consiglio ancora ieri ha continuato a parlare: il primo a non volerne sapere di sottoscriverlo è proprio Matteo Renzi, il quale nei due mesi da segretario ha fatto quanto gli era possibile per non farsi coinvolgere nelle decisioni di Palazzo Chigi, rifiutando ogni proposta di rimpasto o di cogestione nelle scelte di governo. Il sindaco di Firenze sin dal principio ha voluto tener separate le cose: un conto è l’esecutivo, un altro il partito. Mettendo così in chiaro che le colpe del primo non devono ricadere sul secondo. Renzi non intende dividere alcuna responsabilità con Letta, perché sa che se lo facesse verrebbe logorato dall’immagine fiacca del governo e nel giro di un anno da rottamatore si trasformerebbe in rottamato. I risultati deludenti gli verrebbero attribuiti e nessuno crederebbe più alle sue promesse di cambiamento. Forse all’inizio il sindaco ha davvero pensato che tenere Letta a Palazzo Chigi fosse una buona idea e ciò gli avrebbe permesso di non bruciarsi, consentendogli nel frattempo di fare le riforme, da quella elettorale a quelle costituzionali. Ma per poter restare al partito senza sporcarsi le mani, Renzi avrebbe avuto bisogno di un governo che non galleggiasse. Invece non solo Letta è rimasto a galleggiare per mesi, ma alla fine è affondato e pure malamente. Ormai lo hanno abbandonato tutti, dentro il suo partito e anche fuori. Ieri il presidente del Consiglio ha dovuto registrare un secco comunicato del Quirinale che annunciava un frettoloso incontro con lui. E a fine serata ha dovuto pure sentirsi tirare per la giacchetta da Scelta civica, cioè dal non partito di Mario Monti, il quale per bocca del suo capogruppo alla Camera ha invitato Letta ad essere generoso e a favorire una nuova fase politica, cioè a levare le tende. Se perfino i pesi piuma come Andrea Romano lo abbandonano, vuol proprio dire che il governo è spacciato e giovedì, quando si riunirà la direzione del Pd, il premier dovrà prenderne atto. Dalle voci di corridoio diffusesi in serata, a questo punto pare che l’unico scoglio che impedisce la chiusura delle larghe intese rimanga che fare dello stesso Letta. È vero che il nipotissimo (di Gianni, storica eminenza azzurrina di Berlusconi) fino a un anno fa era una figura di secondo piano, ma dopo i mesi trascorsi alla guida del governo qualcosa bisogna pur riconoscergli. Nelle scorse settimane si era parlato di un incarico in Europa, ma a quanto pare ad oggi non c’è nulla a portata di mano, inoltre le poltrone di Bruxelles non sono nella disponibilità dell’Italia, anche perché c’è già uno dei nostri alla guida della Banca europea. Risultato, entro giovedì occorre trovare un posto di gradimento del premier, così da evitare rimozioni dolorose e rancorose tipo quelle avvenute in passato con Romano Prodi. Ce la farà il Pd oppure nel più puro stile della sinistra voleranno i coltelli? Si tratta di un quesito cui non sappiamo rispondere. Di certo però Letta lancia a Renzi se non un coltello per lo meno una bomba ad orologeria. Al sindaco infatti rimane una situazione economica pesante, con richieste delle categorie e dei sindacati che si fanno sempre più pressanti. Subentrando a Palazzo Chigi senza passare dal voto, il rottamatore arriva in fretta nella stanza dei bottoni, ma altrettanto rapidamente dovrà decidersi a schiacciare quelli giusti. Le battute, gli slogan, le soluzioni facili propagandate in tv presto non basteranno più. E allora vedremo se dietro le guasconate del giamburrasca toscano c’è qualcosa oppure se si è trattato solo di uno scherzo in stile Amici miei. Anzi: compagni miei. di Maurizio Belpietro