L'editoriale
L’asse Renzi-Berlusconi può cambiare l’Italia
Quel che pensiamo della legge elettorale lo abbiamo scritto: per quanto ci riguarda avremmo preferito un sistema già sperimentato e non adattato in tutta fretta. Perché il rischio di scoprire che l’Italicum funziona come il Porcellum o il Mattarellum, cioè male, non vogliamo correrlo. Per vent’anni abbiamo avuto governi ballerini e adesso che esiste la possibilità di averne uno stabile ci piacerebbe poterla cogliere senza altri errori. Ciò detto, il modello che il Parlamento si appresta a varare grazie all’intesa fra Renzi e Berlusconi un paio di cose buone le porta. Non tanto il premio di maggioranza, che era previsto anche nella legge cancellata dalla Corte costituzionale. E nemmeno le liste corte che aggirano il problema delle preferenze, perché di fatto resta il potere delle segreterie nella scelta degli eletti. No, di buono prima di tutto c’è un sistema di sbarramento che spazza via i piccoli partiti. Mentre prima, pur essendo fissata una quota da raggiungere per poter accedere a Camera e Senato, c’era il ripescaggio e soltanto chi prendeva lo zero virgola tipo Fini restava fuori ma uno come Casini riusciva ad entrare, adesso se non si supera la quota del 4,5 per cento in coalizione, e dell’otto se da soli, si può dire addio al Parlamento. In pratica, i partiti minori con il due o il tre per cento non riusciranno ad eleggere nemmeno un onorevole. Risultato, a Montecitorio e Palazzo Madama (fin che dura) ci ritroveremo quattro o cinque gruppi e tutti gli altri saranno cancellati. Resisteranno i grandi, mentre i piccoli, per non sparire, saranno costretti a sperare nell’accoglienza dei più grossi. Insomma, dovranno chiedere permesso in casa d’altri e aspettare che qualcuno li candidi, un po’ come è successo tra socialisti e Pd. Finiranno anche i trasformismi, nel senso che se un partito o una coalizione non vinceranno al primo turno, non sarà possibile un apparentamento al ballottaggio. Gli italiani sceglieranno fra i primi due classificati chi dovrà rappresentarli e nessuno avrà la possibilità di recuperare gli esclusi. Tanto per intenderci: nel caso in cui Sel correndo da sola non superi la soglia di sbarramento, al secondo turno non potrà allearsi col Pd, né far eleggere qualcuno dei suoi con il Partito democratico. Se perderà sarà fuori e se anche al ballottaggio decidesse di schierarsi a favore del Pd agevolandone la vittoria, ad essere eletti con il premio di maggioranza saranno i candidati di Renzi e non quelli di Vendola. Le alleanze dunque dovranno essere concluse prima e non dopo. Tuttavia, la novità più interessante è quella non scritta, nel senso che non fa parte del nuovo sistema elettorale ma del nuovo clima politico. La legge in discussione alla Camera l’hanno scritta Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e in forza di un patto di ferro l’hanno imposta al Parlamento. Il segretario del Pd ha così portato a casa un risultato importante: dopo tanti anni di chiacchiere, è bastato che lui diventasse il numero uno della sinistra e in un mese si è arrivati alla legge elettorale. Il leader di Forza Italia grazie all’accordo con il capo del Pd è resuscitato dalla tomba politica in cui qualcuno avrebbe voluto seppellirlo e dopo la sua cacciata dal Senato in pochi mesi è tornato protagonista. Già queste sono due novità d’un certo rilievo che hanno mosso le acque limacciose della nostra politica. Ma alle due se ne aggiunge una terza, forse la più rilevante. L’intesa tra Renzi e Berlusconi non è finita qui ma è destinata a proseguire, in particolare sulle altre riforme, ovvero l’abolizione del Senato, i costi della politica e le modifiche al Titolo V. Tutto ciò apre scenari nuovi, perché di fatto i due potrebbero ridisegnare l’architettura istituzionale del Paese. Chiudere Palazzo Madama per trasformarlo in una specie di assemblea delle regioni non porterà i risparmi promessi dal sindaco di Firenze ma darebbe il segno che non tutto è fermo nella palude italiana. I due opposti, i due partiti che per un ventennio si sono fatti la guerra, uniti per riscrivere le regole prima di tornare alle urne. È vero, il segretario del Pd continua a ripetere che la sera delle elezioni la nuova legge elettorale consentirà di sapere chi ha vinto e chi ha perso e promette che non ci saranno mai più larghe intese. In realtà, fino all’8 di dicembre le larghe intese non ci sono state. A cominciarle semmai è stato proprio lui, Renzi. Mettendo da parte l’odio della sinistra per il Cavaliere, il rottamatore ha messo d’accordo gli opposti. E non è detto che la cosa si fermi qui. Siccome le dichiarazioni del Giamburrasca della sinistra non vanno prese alla lettera («Non mi candiderò mai alla guida del Pd» scrisse tre mesi prima di farlo...), non è da escludere che le larghe intese non si interrompano con le regole, ma proseguano fino a che non saranno completate tutte le riforme, in particolare quelle economiche e della giustizia. In tal caso, se ne potrebbero vedere delle belle. Soprattutto le vedrebbe quella sinistra radicale che per vent’anni ci ha costretti in una guerra di trincea in difesa del passato. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet