L'editoriale
Dopo Genova c’è l’Italia: la sinistra ci farà deragliare
Potremmo ignorare quanto sta accadendo a Genova, declassando il caso a vicenda locale, o addirittura potremmo rallegrarci con noi stessi, perché una città che si ribella alla sinistra rappresenta meglio di cento editoriali il fallimento della sinistra. E invece no: quanto sta succedendo in quella che un tempo veniva chiamata la Superba ci spaventa, in quanto mai come a Genova sono rappresentati i vizi e la miopia di quella classe dirigente progressista che si candida a guidare l’Italia. Certo, anche Milano, la città in cui si confeziona Libero, è amministrata male da un sindaco di Sinistra ecologia e libertà. E lo stesso si può dire di Napoli, dove Luigi De Magistris, pur essendo un uomo di legge, sta dimostrando che la legge non la sa applicare. O di Roma, dove Ignazio Marino sta cominciando a capire che usare il bisturi in sala operatoria è diverso che usarlo in una Capitale con 600 milioni di debiti. Eppure, nonostante siano ormai numerosi i casi in cui si tocca con mano l’incapacità e l’improvvisazione di una classe dirigente presuntuosa e arrogante, nessuna città dà la misura del fallimento dei compagni quanto Genova. Il capoluogo ligure ha un passato industriale ed economico di prestigio: qui avevano sede l’industria pesante e molte delle industrie delle partecipazioni statali, mentre il porto era uno dei più importanti del Mediterraneo. Oggi, dopo due decenni di amministrazioni rosse, Genova ha invece un presente di declino e povertà: le grandi industrie hanno chiuso o si sono trasferite e il porto, che non dispone di infrastrutture che consentano il collegamento veloce con i centri del Nord Europa, langue. Se la Liguria è diventata la Regione più povera del Nord, la sua più importante città non sta meglio. La disoccupazione è in aumento e le famiglie in difficoltà anche. Fino a ieri l’unica industria che ancora tirava era quella pubblica: il Comune, con le sue partecipate e i suoi servizi. Ma alla fine anche quella sta crollando, sotto il peso dei debiti e della mala gestione. I dati stanno nella relazione della sezione regionale della Corte dei conti. Nove paginette in cui si passano in rassegna le scelte delle passate giunte, quando ancora su Genova regnava l’avvocato Giuseppe Pericu, un comunista tutto d’un pezzo. Secondo i magistrati contabili la gestione per quanto riguardava le società partecipate del Comune fu un vero flop, con un buco di 84 milioni dell’epoca. Non c’era società che non perdesse: da quella che doveva occuparsi di sport a quella che si occupava di turismo o di trasporti. Ogni anno milioni di perdite senza che fosse chiaro come recuperarle e soprattutto senza che nessuno indicasse la via per evitare che in futuro le cose andassero peggio. Il caso dell’azienda tranviaria che oggi sta infiammando e bloccando la città è il risultato di quelle mancate scelte. Prima il pretore d’assalto Adriano Sansa, poi l’avvocato Giuseppe Pericu, quindi la preside Marta Vincenzi, infine il marchese rosso Marco Doria: tutti rigorosamente di sinistra e tutti incapaci di capire che se non volevano far finire Genova sotto un tram dovevano intervenire e impedire che l’azienda tranviaria deragliasse. Invece, per miopia, supponenza o improvvisazione nessuno ha mosso un dito intimando lo stop. Il giornale della città, il Secolo XIX, ha stimato che in trent’anni l’Amt abbia inghiottito 600 milioni, poco meno dell’intero bilancio cittadino. Per tamponare la voragine nel corso degli anni sono state vendute case e dighe e alla fine - ceduto tutto quello che c’era da cedere - sono cominciati i debiti. Solo negli ultimi due anni l’amministrazione comunale ha speso 72 milioni - cioè un decimo del bilancio di Palazzo Tursi - per pagare i mutui Amt. Poteva continuare così? Si potevano alzare ancora le tasse, aumentare l’aliquota sull’Imu, far lievitare le entrate tributarie, quasi raddoppiate in un paio d’anni? Ovvio che no. E così, di fronte alla prospettiva di un rapido fallimento, il sindaco comunista ha fatto l’unica cosa che poteva fare: privatizzare. Finite le illusioni dei compagni, basta con le chiacchiere ideologiche: la città di Grillo e di Crozza con i suoi tram è arrivata al capolinea. O decide di adeguarsi alle regole del mercato, ai criteri di economicità, tagliando sprechi e spese che non si può permettere, o va a ramengo e con lei tutta la sua classe dirigente. Ripetiamo: forse potrebbe sembrare una vicenda locale, secondaria, non degna di occupare la prima pagina di un quotidiano a tiratura nazionale. Una bega tra tranvieri e amministrazione comunale come a volte ne capitano in provincia. E invece no. Quella di Genova è la rappresentazione plastica di ciò che presto potrebbe capitare all’Italia se si affidasse alla sinistra. La Superba credeva che il marchese rosso avrebbe fatto meglio di tutti. E così lo credevano anche Milano, scegliendo l’avvocato rosso, e Roma, con il suo chirurgo rosso, e Napoli, con il suo magistrato arancione. Ma tutti si stanno rivelando flop pericolosi. Il più pericoloso di tutti però è il flop che potrebbe derivare da un altro campione della società civile, quel Renzi che piace tanto alle folle e molto meno al suo ex assessore al Bilancio. Anche a Firenze la gestione del Comune è affidata alle parole e alle promesse, ma poi bisogna far quadrare i conti e quelli non sempre vengono facili come le battute. Renzi dice di voler applicare il suo metodo anche al Paese, ma per noi, più che una promessa, è una minaccia. Con il suo programma l’Italia finirebbe sotto il tram, proprio come è successo a Genova. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet