L'editoriale

Ministri pdl, non scherzate con le tasse

Nicoletta Orlandi Posti

Non sappiamo che cosa porterà agli italiani la legge di stabilità che il governo si appresta a varare, ma se dobbiamo dare retta alle anticipazioni fornite ieri diremmo che non porta nulla di buono. La manovra prevederebbe infatti una specie di patrimoniale mascherata da tassa di servizio. In pratica si tratterebbe di ciò che abbiamo temuto fin dal giorno in cui l’esecutivo ha annunciato la cancellazione dell’Imu sulla prima casa: cacciata dalla porta, l’imposta sta per rientrare dalla finestra. Secondo le indiscrezioni si tratterebbe di una misura che colpirebbe ogni abitazione, costringendo i contribuenti a versare il 3 per mille per ogni metro quadrato posseduto. Una stangata in piena regola, sempre a scapito dell’unica vera ricchezza delle famiglie: il mattone. È vero, il presidente del consiglio via Twitter ha invitato a prendere con le molle le voci in circolazione in queste ore, ma è pur vero che finora nessuno ha pronunciato parole chiare su come verranno sostituite l’Imu e la Tares, cioè se la Trise che le dovrebbe soppiantare (con due sottotasse soprannominate Tari e Tasi) alla fine peserà di più o di meno sui bilanci famigliari. Dunque è lecito sospettare che nelle ipotesi riportate ci sia del vero, anche perché tacendo, coloro che hanno la responsabilità di prendere le decisioni, hanno evitato di indicare vie alternative che consentano di reperire le risorse per far quadrare il bilancio. Nei giorni scorsi, quando si è trattato di individuare i fondi necessari per l’emergenza clandestini, invece di trovare strade alternative si è preferito ricorrere alla scorciatoia delle accise. Benzina, sigarette, casa: è lì che si finisce sempre per prelevare. I consumi di massa e la sola fonte di risparmio delle famiglie italiane: quando allo Stato servono quattrini si bussa alla solita porta.  Tempo fa il professor Paolo Savona, che nel passato ricoprì anche la carica di ministro, ripercorse la storia ventennale delle manovre. Tutte erano principalmente fatte di tasse, nessuna di tagli. Risultato: in vent’anni abbiamo costruito il più grande debito pubblico europeo e la più alta tassazione che si registri nel vecchio continente.  Savona per la verità ha anche un altro merito: da docente universitario è stato il primo a manifestare qualche dubbio sull’euro e sulla mistica dell’Europa. Non che fosse contro la moneta unica, semplicemente si è limitato a invitare governo e forze politiche a fare di conto e stabilire se è a quale prezzo fosse possibile uscire dal patto che ci impone sacrifici. Ovviamente la sua richiesta è stata ignorata e nessuno ha mai valutato la convenienza di restare attaccati al carro della Merkel. Sta di fatto che da quando è iniziata la crisi, la Germania è sempre più ricca e noi siamo costretti a fare manovre su manovre per rispettare i parametri europei. Con quale vantaggio? La risposta la si poteva trovare sul Sole 24 ore di ieri. Per contribuire al salvataggio di Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia, in un paio di anni l’Italia ha versato 51,3 miliardi. Le tasse che ci hanno martellato da Monti in poi se le sono prese i paesi in difficoltà, i quali - è il caso dell’Irlanda - ora annunciano che a fine anno saranno fuori dai guai. Capito? Noi tiriamo la cinghia e  altrove festeggiano per il ritrovato equilibrio. Per noi  non c’è un euro, neppure il miliardo per evitare di alzare l’Iva, per gli altri paesi ci sono i nostri soldi. Se non avessimo partecipato al salvataggio di Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia non ci sarebbe bisogno di nessuna Imu e di nessuna tassa di servizio, ma ci avanzerebbero anche i soldi per tagliare il cuneo fiscale e pure per pagare gli stipendi agli esodati. Se siamo con l’acqua alla gola e raschiamo il fondo del barile, anzi delle casse degli italiani, lo dobbiamo a una classe politica che non ha mai calcolato svantaggi e benefici della moneta unica e che è entrata fideisticamente in Europa senza pretendere garanzie, accettando che ci venisse imposta la vendita di Telecom ai privati (con quali risultati lo vediamo ora) e con un  cambio niente affatto favorevole. Si dirà: errori del passato. Vero, ma la classe politica di sbagli ne fa anche adesso. Il primo è quello di non richiedere a Bruxelles una revisione degli accordi capestro pretendendo risposte concrete. Il secondo consiste nel continuare a usare male i soldi dei contribuenti come sempre ha fatto, impiegandoli cioè per moltiplicare le poltrone per se stessa. Sempre il Sole 24 ore di ieri ha reso noto i dati delle società controllate dallo stato e dagli enti pubblici. In totale si tratta di 7800 aziende con quasi 20 mila amministratori tra presidenti, direttori e consiglieri. Un esercito che sommato al personale costa agli italiani la cifra tonda di 15 miliardi. Nonostante il tetto agli stipendi molti di questi signori incassano redditi da favola, che raggiungono anche il mezzo milione. Obiettano i difensori dell’enorme baraccone pubblico: ma noi forniamo servizi. Sarà. Ma a che prezzo. Proprio sicuri che nell’azienda forestale calabrese siano necessari 5.600 dipendenti con un costo di 162 milioni? Scrivevamo all’inizio che non sappiamo se le misure di cui si parla in queste ore - Trise, Tasi e Tari - facciano parte davvero della manovra. Una cosa però è certa: neanche un euro in più di tasse è giustificato fino a quando la classe politica continuerà a regalare miliardi all’Europa e a sperperarne con le sue clientele. Lo diciamo anche ai ministri di centrodestra: occhio signori, si può scherzare con tutto, ma non con il portafogli degli italiani. La regola numero uno di un liberale è che lo Stato non deve mettere le mani nelle tasche dei cittadini. In dialetto veneto Tasi vuol dire taci. Ma stavolta pagare e tacere non sarà possibile.  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet