L'editoriale

Un verdetto che fa decadere in basso tutto il Parlamento

Andrea Tempestini

I lettori sanno ciò che pensiamo della sentenza con cui Silvio Berlusconi è stato condannato a quattro anni di carcere. Per quel che ci riguarda è ingiusta e, nonostante debba essere considerata definitiva in quanto confermata dalla Cassazione, ci auguriamo sia presto bocciata dalla corte di Strasburgo cui il Cavaliere è ricorso. Tuttavia, non è questo il punto. Il tema non è il verdetto, che a meno di una riapertura del processo è da considerare irrevocabile, ma la politica. O meglio: il comportamento delle forze politiche e l’insolita fretta di alcuni partiti di archiviare il leader del centrodestra espellendolo dal Senato.  La vicenda è nota: dopo la sentenza e il rinvio alla corte d’Appello per la sola parte che riguarda l’interdizione dai pubblici uffici, tra le diverse forze politiche è scattata la corsa a chi darà per primo il calcio di benservito a Berlusconi. Dai grillini ai vendoliani per finire ai piddini, tutti paiono aver urgenza di liquidare il Cavaliere, quasi che levato di mezzo lui i problemi del Paese siano magicamente risolti. Nella commissione della giunta per le elezioni che ha il compito di giudicare i colleghi onorevoli, il Popolo della libertà ha provato a sollevare dubbi sull’applicazione della Severino, la legge che fa decadere i parlamentari, ma è stato respinto senza appello. Intendiamoci: il Pdl non aveva intenzione di assolvere Silvio né di evitare che la Severino facesse il suo corso. Semplicemente intendeva  portare la questione dell’applicazione retroattiva della norma davanti alla Corte costituzionale e a quella dei diritti dell’uomo. Secondo gli esperti del centrodestra, la legge sulla decadenza infatti non rispetterebbe il principio costituzionale per cui le leggi si applicano dal momento in cui sono approvate e non prima, non cioè per reati che siano stati commessi quando non c’erano.  Giusta o sbagliata l’interpretazione del Pdl? Ognuno può avere la propria opinione, ma ciò che conta è il giudizio inappellabile della Consulta e della corte dei diritti dell’uomo. È  lecito rivolgersi dunque a chi è deputato a valutare la costituzionalità delle norme e la loro compatibilità con la Convenzione europea? Ovvio che sì, non c’è neppure da discuterne. Per qualsiasi altra persona la sinistra e il Movimento Cinque Stelle avrebbero fatto valere i princìpi garantisti e dunque sospeso ogni giudizio. Per tutti, ma non per Berlusconi, il quale non è un cittadino di serie A, ma di serie B, perché a lui è riservato un trattamento speciale, non proprio favorevole. Sarebbe accaduto qualcosa di incredibile e di insopportabile se la giunta per le elezioni avesse deciso di attendere il verdetto dei giudici costituzionali e di quelli di Strasburgo? No. Il Cavaliere al massimo avrebbe guadagnato qualche mese, ma senza aver alcuna possibilità di sottrarsi al giudizio, perché una volta riconosciuta l’applicabilità della Severino anche per il caso Berlusconi, entro gennaio la questione della decadenza si sarebbe riproposta in giunta. E allora perché non attendere? Perché non rinviare, dedicando tutte le energie ad altre e ben più urgenti questioni, come ad esempio le misure economiche che riguardano le famiglie o la tanto invocata riforma elettorale? Le risposta, come detto, sta nella particolare figura del soggetto sottoposto a giudizio: non fosse stato il leader del centrodestra nessuno avrebbe dimostrato alcuna fretta, prova ne sia che in altri casi il Parlamento ha affrontato il tema della decadenza di onorevoli condannati con molta calma, votando anche un anno dopo il pronunciamento della sentenza definitiva.  Già questo basterebbe a dimostrare che nei confronti del Cavaliere c’è accanimento e che la persecuzione ha motivazioni politiche più che di giustizia: far fuori un leader del calibro di Berlusconi è diventata per la sinistra una specie di ossessione. Ma se qualcuno nutrisse dubbi e ancora fosse convinto che la decisione di espellere il leader del centrodestra non sia frutto di un pregiudizio, può leggere nelle pagine interne ciò che è accaduto prima del voto nella giunta del Senato. Nella sua bacheca di Facebook l’ex capogruppo del Movimento Cinque Stelle ha postato un messaggio volgare contro Berlusconi. Peccato che Vito Crimi, funzionario in aspettativa del Palazzo di giustizia di Brescia, sia uno dei commissari che ieri mattina avrebbe dovuto giudicare con serenità l’applicazione della legge Severino al caso del Cavaliere. Immaginiamo l’imparzialità. Immaginiamo soprattutto la disponibilità a valutare le tesi della difesa. E poi ci vengono a dire che la legge è uguale per tutti.   di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet