L'editoriale

Per non sfasciarsi il Pd è pronto a sfasciare l'Italia

Lucia Esposito

Fino a che punto può arrivare la crisi di identità e di leadership di un partito? A quanto pare fino a far pagare il conto delle proprie difficoltà interne a tutti gli italiani, liquidando l’esperienza delle larghe intese per lanciarsi nell’impresa spregiudicata di un governo con i fuoriusciti del Movimento Cinque Stelle. È questa la prospettiva che ci viene incontro a meno che intervengano fatti nuovi: fatti che al momento non sono per nulla immaginabili. Perché quando anche esponenti moderati del Pd come Nicola Latorre si schierano con il fronte giustizialista che vuole Silvio Berlusconi fuori dal parlamento e rinunciano a combattere una battaglia in nome del diritto e della moderazione, è difficile intravedere uno spiraglio che impedisca il precipitare degli eventi. Tutto sembra già scritto e già pronto per essere messo in atto. Ieri, su Libero, Mario Giordano ha spiegato che lo scippo predisposto dal ministro del lavoro Giovannini ai danni dei pensionati non ridotti al minimo - cioè di coloro che avendo pagato i contributi in 40 anni di lavoro non sono costretti a percepire un vitalizio da miseria - potrebbe servire a finanziare il reddito di cittadinanza.  In poche parole, si tratterebbe della contropartita richiesta proprio dal gruppo pentastellato per tradire Grillo: una foglia di fico che giustifichi il ribaltone. In cambio del salario “regalato” a chi non ne ha uno, cioè dell’ennesimo sussidio finanziato ai danni dei pensionati ovvero la più odiosa delle tasse, si perpetrerebbe un’operazione politica per liquidare il capo del partito di maggioranza, dando vita a un esecutivo di cui facciano parte sia esponenti del Pd che di Sel, ma anche di Scelta civica e del Movimento Cinque Stelle. Un’ammucchiata oscena, senza una linea comune e senza un programma se non quello di cancellare Berlusconi. Tutto ciò a causa della guerra fra Renziani e nomenclatura, tutto perché l’attuale dirigenza del Partito democratico non è in grado di resistere alle sollecitazioni dei giustizialisti e alle pressioni esercitate da Beppe Grillo e dalla magistratura. Un partito alla deriva che manda alla deriva anche l’Italia. Eppure la soluzione c’e ed è anche a portata di mano. Basterebbe seguire i suggerimenti di alcuni deputati dello stesso Pd. I quali, come ha scoperto il presidente della Commissione Affari costituzionali Francesco Paolo Sisto, nel maggio scorso presentarono un disegno di legge proprio per cancellare l’interpretazione retroattiva della legge Severino circa l’incandidabilità dei politici condannati. A firmare il ddl furono alcuni degli esponenti della giunta che dovrà decidere del caso Berlusconi e che ora, a quanto pare, potrebbero optare per ragioni di partito per un’opinione diversa. Mentre prima ritenevano incostituzionale la retroattività della misura, ora - essendoci di mezzo il Cavaliere - potrebbero decidere che applicare la Severino anche a vicende giuridiche del passato è perfettamente costituzionale. Pesi e misure diverse a seconda dunque di chi sia oggetto della decadenza. Pur di far fuori Berlusconi ed evitare che il partito si sfasci, a quanto pare dentro il Pd sono pronti a tutto, anche a mettere sotto i piedi il diritto e a precipitare il paese in una crisi al buio.  Già, perché cacciare dal Parlamento il leader del partito di maggioranza, non può che voler dire questo: la caduta del governo Letta. Difficile continuare un’alleanza se uno degli alleati tenta di far fuori l’altro, soprattutto è impossibile far finta di nulla. Se il Pd darà seguito alle intenzioni manifestate in queste ore, la fine dell’esecutivo di larghe intese sarà dunque inevitabile. E inevitabili saranno anche le elezioni. Nonostante i tentativi di dar vita a una nuova maggioranza “comprandosi” con il reddito di cittadinanza i dissidenti del Movimento Cinque Stelle (a proposito: ci sarà una procura che indagherà su questo cambio di casacca, oppure le indagini sono una prerogativa che è concessa solo al Cavaliere?) e nonostante la minaccia di Napolitano di dimettersi da presidente della Repubblica per impedire le urne. Basterebbe infatti che tutti i parlamentari del centrodestra rinunciassero al mandato, presentando uniti le dimissioni, per rendere questo Parlamento non più rappresentativo di nulla, né in grado di funzionare. Tenere in vita due Camere amputate dell’opposizione, con il centrodestra privo di rappresentanza politica, sarebbe una lacerazione della democrazia troppo grave per essere accettata, che, siamo certi, nessuno, neanche degli ex comunisti allo sbando e senza leadership potrebbero avallare. A meno che non ci si debba aspettare il peggio. A meno che la resa dei conti arrivi al punto di far precipitare tutto. Ma allora il problema non sarà ciò che capiterà a Berlusconi, ma il nostro futuro. di Maurizio Belpietro maurizio.belpietro@liberoquotidiano.it