L'editoriale
La guerra civile non si ferma. Letta a fine corsa
Sorpresa: Silvio Berlusconi non ha nessuna intenzione di chinare il capo. E quelli che lo davano per morto e sepolto in casa, con gli arresti domiciliari o l’affidamento ai servizi sociali, si dovranno ricredere. Perché, come abbiamo più volte scritto, una leadership non si estingue per sentenza. Anzi, al contrario, la condanna confermata dalla Cassazione e i dubbi che essa ha suscitato nell’opinione pubblica rischiano semmai di rafforzare il consenso di cui gode il Cavaliere, rendendolo - dentro o fuori il Parlamento che sia - un protagonista, se non il protagonista, della vita politica del Paese anche nei prossimi anni. È questo il risultato dell’operazione «Caccia all’uomo» che mirava a mettere in fuori gioco il capo dei moderati: l’esatto contrario di ciò che si prefiggevano i suoi artefici. Del resto, che le cose sarebbero andate esattamente così è una novità solo per alcuni, non per noi. Come i lettori ricorderanno, pochi giorni prima che la Suprema Corte pronunciasse la sentenza, avevamo riportato un colloquio con lo stesso Berlusconi. Non si trattava di un’intervista, ma di una chiacchierata serale dopo una settimana durissima: una conversazione privata che per il suo interesse decidemmo, senza il consenso dell’interessato, di rendere pubblica. Ecco: in quella conversazione c’era già la sintesi di ciò che il Cavaliere avrebbe fatto se i giudici di Cassazione non avessero riconosciuto la sua innocenza. In pratica, Berlusconi si dichiarava pronto ad andare fino in fondo, evitando la fine che qualcuno aveva previsto per lui, ossia la fuga e la latitanza. Per il leader del primo partito italiano non ci sarà un epilogo alla Craxi, cioè l’esilio e la dissoluzione del suo movimento politico. «Io non scappo e non chiederò né i domiciliari né l’affidamento ai servizi sociali: se mi condannano vado in galera». Frasi dette così, senza riflettere, prima di guardare in faccia la realtà che gli si prospettava? Come si è visto, no: quello era ed è il vero pensiero di Berlusconi. Chi si stupisce ora non aveva capito nulla prima. Soprattutto non ha capito di che tempra sia fatto l’uomo che vent’anni fa, contro tutti i pronostici, portò alla vittoria il centrodestra, evitando che il Paese finisse nelle mani di Achille Occhetto e degli eredi del partito comunista. Il Cavaliere non molla anche quando ogni cosa gli pare avversa. Il Cavaliere resta in campo e non tratta la resa. Anzi, si prepara alla sua ultima e più importante battaglia. Le prossime settimane infatti saranno impegnative, perché se - come ormai pare assodato - Napolitano non interverrà con un provvedimento a fermare gli effetti della sentenza della Suprema Corte e le conseguenze politiche che essa comporta, la decadenza da parlamentare prima e la detenzione di Berlusconi poi saranno inevitabili. E che farà a questo punto il Pdl trasformato e rilanciato in Forza Italia? Difficile che possa fare finta di niente e che tutto, governo Letta compreso, possa continuare come se nulla fosse accaduto. Impossibile per il centrodestra, ma anche per la sinistra, la quale - già dilaniata dalle liti interne fra Renzi e la nomenklatura post comunista - troverà sulla strada un nuovo motivo per dividersi. Insomma, più che verso la fine di Berlusconi e del suo movimento si va verso la conclusione delle larghe intese, cioè dell’idea che in questo Paese, dopo vent’anni di «guerra civile», si possa porre la parola fine a un conflitto che ha dilaniato soprattutto l’economia nazionale. Invece di chiudersi con un grande accordo di pacificazione nel nome dell’interesse collettivo, le battaglie tra politica e giustizia, tra destra e sinistra, proseguono su un nuovo fronte e l’esperienza politica di unità nazionale si conclude con pochi, se non nessuno, dati di fatto. Se si escludono le generiche promesse, sul fronte del rilancio dell’economia in questi mesi non si è concluso nulla: e non parliamo di Imu o di Iva, misure che pure restano nel libro dei sogni, ma di interventi strutturali. Analogo bilancio lo si può tracciare per quel che riguarda le riforme istituzionali: dei progetti di cambiamento della Costituzione e di riscrittura della legge elettorale rimangono solo le bozze. Quanto al resto, cioè la giustizia, l’istruzione e la politica estera, il consuntivo è riassumibile in un foglio bianco. È vero che Letta ha avuto soltanto cento giorni o poco più, ma il suo rischia di passare per il governo balneare con cui si è chiusa l’esperienza della seconda Repubblica, cioè il peggior modo per archiviare una stagione. Si va dunque verso nuove elezioni? Oppure verso un esecutivo arlecchino di cui facciano parte - oltre al Pd - Sel, Scelta civica o ciò che ne resta, e pure i fuoriusciti del Movimento Cinque Stelle? Probabilmente la classe politica che siede in Parlamento non ci farà mancare anche quest’ultima avventura, trascinando oltre la decenza la soluzione ai problemi. Per evitare la resa dei conti si inventeranno il governo di scopo, come se nel Paese con tre milioni e mezzo di disoccupati e il Pil ancora in discesa la cosa più urgente da fare fosse la legge elettorale. Insomma, l’agonia di una legislatura cominciata male e proseguita peggio potrebbe durare ancora un po’, ma vista la situazione la parola fine è già scritta. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet