L'editoriale

Napolitano, concedi la grazia al Cav

Andrea Tempestini

Secondo il primo presidente della Corte di Cassazione, vale a dire il più alto magistrato della Repubblica, non c’è stata alcuna urgenza di processare e, presumibilmente, condannare Silvio Berlusconi. Fissando a tempo di record l’udienza per discutere la sentenza che condanna il Cavaliere a quattro anni di reclusione e a cinque di interdizione dai pubblici uffici, non si è fatta alcuna eccezione, ma si è rispettata la regola che affretta il giudizio qualora sia imminente la prescrizione. Peccato che, nonostante quanto sostenuto da Giorgio Santacroce, nel caso dell’ex premier non ci fosse alcuna prescrizione incombente. Berlusconi non rischiava di sottrarsi alla giustizia per «decorrenza dei termini», ma al massimo di vedere spostata di qualche mese la condanna o la assoluzione. Nient’altro. Ma a quanto pare qualcuno vicino alla Procura di Milano si è fatto venire la fregola e, se sono vere le voci che circolano  negli ambienti della Suprema corte, si è premurato di segnalare l’urgenza  di procedere contro il Cavaliere. Non contento o preoccupato di non essere stato ascoltato, ha provveduto poi a passare la velina a un cronista del Corriere della Sera, il quale si è affrettato a segnalare il rischio di uno slittamento della sentenza a carico dell’ex presidente del consiglio. Sarà dunque vero ciò che dice il primo magistrato d’Italia, sarà quindi sicuramente già accaduto almeno una volta in passato che si dessero solo quarantott’ore di tempo ai difensori per depositare i motivi aggiuntivi del ricorso e una decina giorni al procuratore generale per argomentare le richieste in un dibattimento di cui fino al giorno prima non sapeva nulla. Saranno cioè tutte provate le giustificazioni formali che vengono citate in queste ore per escludere che nei confronti di Silvio Berlusconi vi sia un accanimento giudiziario. Però non possiamo in alcun modo tacere di avere la sensazione sgradevole che nei confronti dei giudici di ultima istanza sia in atto una fortissima pressione affinché provvedano a dar corso all’atto conclusivo della guerra dei vent’anni.  Noi non pensiamo che la Cassazione sia un covo di ermellini che non ha altra ambizione se non quella di eliminare per via giudiziaria il leader del centrodestra. Né riteniamo che i giudici della suprema Corte siano una banda di pericolosi estremisti che hanno in animo di sovvertire le istituzioni repubblicane. Semplicemente abbiamo la sensazione che anche i magistrati più autorevoli, cui compete di valutare il rispetto delle regole e del codice, siano ostaggio di un clima nefasto che da tempo aleggia nelle aule di giustizia. Il sospetto è che neppure la Cassazione sia in grado di sottrarsi alle sollecitazioni esterne e all’influenza di chi vorrebbe procedere al più presto all’eliminazione per via giudiziaria del Cavaliere. Pur non essendo tutti di sinistra, pur essendo in massima parte equilibrati, molti magistrati non hanno infatti il coraggio di ribellarsi alla minoranza ideologizzata dei loro colleghi. Come sappiamo ci sono giudici che fanno politica. Non sono molti, ma anche se ridotti nel numero sono in grado di esercitare una coercizione su chi non è politicizzato. Con i risultati che abbiamo davanti agli occhi. Naturalmente possiamo sbagliarci e fra venti giorni dover registrare l’assoluzione di Silvio Berlusconi dall’accusa incredibile di essersi fatto truffare da un suo dipendente, per ottenere in cambio, lui che è un uomo tra i più ricchi d’Italia, un guadagno di tre milioni. Anzi: diciamo che vorremmo essere smentiti e poter raccontare ai lettori che la Corte di Cassazione ha «cassato» la condanna, riconoscendo che se il presidente di una società, cioè l’uomo che firma i bilanci, è innocente lo deve essere per forza anche colui che non ha alcun ruolo operativo ma è solo un azionista di quell’azienda. Insomma, ci auguriamo di essere stati inutilmente diffidenti. Nel qual caso ammetteremo di aver pensato male e faremo ammenda. Ciò detto, abbiamo il fondato timore che le cose non andranno così, ma che il 30 di luglio potrebbe essere pronunciata la parola fine alla carriera politica di Berlusconi, con la condanna a trascorrere almeno un anno di reclusione in casa e la esclusione dal Parlamento per effetto dell’interdizione dai pubblici uffici. Nel qual caso, se cioè avessimo visto giusto, si imporrebbe una seria riflessione sul tasso di democrazia di questo paese e, soprattutto, si renderebbe necessaria una reazione chiara e netta. Non alludiamo ovviamente alle iniziative di questi giorni, alcune delle quali promosse dai gruppi parlamentari del Pdl. Sospendere i lavori alla Camera e al Senato, riproducendo un Aventino con 90 anni di ritardo, crediamo lasci il tempo che trovi, e cioè sia perfettamente inutile. Finita la secessione sul colle di Roma, Berlusconi continuerebbe a restare rinchiuso ad Arcore e i moderati italiani privi del loro leader. No. È tempo e ora di altre iniziative e la sola che noi intravediamo si chiama grazia. Se il Cavaliere venisse condannato con una sentenza che è una decisione politica, toccherebbe al capo dello Stato ripristinare l’equilibrio ed evitare che un terzo degli italiani venga privato della rappresentanza politica. Berlusconi decadrebbe ugualmente dal Parlamento, ma potrebbe continuare a fare politica e potrebbe girare il paese. Certo, sarebbe un ripiego e non una vittoria. Tuttavia, di questi tempi meglio un ripiego di una sconfitta. Ma Napolitano avrà il coraggio di una decisione impopolare per la forza politica da cui proviene, e magari poco gradita anche a una parte del consiglio superiore della magistratura di cui è presidente? A lui la risposta. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet