L'editoriale
Sinistra al bivio tra manette e politica
di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Era impossibile condannare Silvio Berlusconi per aver concusso due funzionari di polizia, quando gli stessi poliziotti hanno sempre negato di esserlo stati. Era impossibile dichiarare colpevole l’ex presidente del Consiglio per aver indotto Karima el Mahroug a prostituirsi, quando la stessa minorenne ha sempre sostenuto di non essersi prostituita al Cavaliere e nessuno l’ha mai vista a letto con lui. Per farlo - per appioppargli una sentenza pesantissima di 7 anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici - il Tribunale ha dovuto perciò sostenere che tutti i testimoni sfilati durante il processo hanno mentito. Agenti delle forze dell’ordine, parlamentari, un sottosegretario di governo, giornalisti, musicisti, ragazze: trenta persone tutte pronte a giurare il falso di fronte ai giudici pur di salvare l’ex premier dall’accusa più schifosa, quella di aver organizzato ad Arcore un centro di prostituzione cui avevano accesso anche ragazze sotto i diciotto anni. La Corte, rappresentata da tre magistrati donne, ha deciso di essere più dura di Ilda la Rossa, aumentando addirittura la pena rispetto a quella non tenera avanzata dalla Boccassini. Un anno in più di quanto avrebbe voluto la Procura, uno schiaffo in più per l’uomo che negli ultimi vent’anni ha rappresentato il centrodestra in Italia. Si conclude così - almeno per ora - una caccia all’uomo che dura dal giorno della sua discesa in politica. Vent’anni di guerre giudiziarie. Vent’anni di accuse infamanti. Molte cadute nel nulla, le ultime andate a segno. Nel caso di Ruby e della sentenza di condanna piovuta ieri sul capo di Berlusconi siamo al processo di primo grado, che dovrà essere confermato in appello e dalla Cassazione. Ma se questa è l’aria che tira nelle aule di Palazzo di giustizia, c’è poco o nulla di positivo da attendersi. Non staremo qui a rispiegare nel dettaglio perché il processo al Cavaliere per la famosa telefonata in Questura non doveva concludersi in questo modo, anzi, non doveva neppure cominciare. Basti dire che in tutta la vicenda non c’è una parte lesa che si dichiari tale. Non i poliziotti, i quali negano di aver violato i loro doveri d’ufficio e nessuno infatti li ha mai incriminati per questo. Non Karima el Mahroug, che ha negato di aver partecipato a festini o incontri sessuali. Ma tutto ciò non è bastato. Mesi di intercettazioni, impiego in forze di agenti di polizia giudiziaria, enorme investimento di denaro pubblico per non arrivare ad alcuna prova regina. La pistola fumante, anzi il pistolino fumante come lo abbiamo ironicamente chiamato in un titolo di Libero di qualche tempo fa, non c’è. Non uno che possa dire: sì, Berlusconi mi ha costretto a liberare la ragazza fermata da una volante. Non uno che sia in grado di assicurare: è vero, ho visto l’ex presidente del Consiglio appartarsi in camera da letto con Ruby. Non c’è nemmeno la certezza che il Cavaliere sapesse della minore età della ragazza, elemento determinante senza il quale crollano tutto il castello di accuse e la necessità di nascondere il fatto a qualcuno. Per poter dire che era a conoscenza dei 17 anni di Karima el Mahroug, i pm hanno dovuto riesumare il teorema del «non poteva non sapere» in voga ai tempi di Mani Pulite, che in Tribunale non sentivamo scandito dai tempi in cui si incastrò Bettino Craxi. Del resto, la sensazione che a distanza di vent’anni la storia si ripeta è forte. Anche allora la vicenda umana e politica di un leader riformatore si chiuse con accuse infamanti di soldi pubblici spesi in lussi, amanti e arroganza. Craxi, uno dei pochi statisti che l’Italia abbia mai avuto, fu indotto all’esilio e morì in terra straniera. Per Berlusconi si vorrebbe un epilogo analogo: una fuga per evitare che scattino le manette. Tempo fa, prima che iniziasse il processo Ruby e incombesse la sentenza Mediaset sui diritti tv, raccontammo ai lettori un brutto sogno che si concludeva proprio così. Il Cavaliere inseguito dalle ordinanze d’arresto, il centrodestra privato del suo leader, la restaurazione pronta a vincere. Oggi l’incubo si avvicina. In pochi mesi, il tempo del pronunciamento della Cassazione sull’accusa di frode fiscale, e l’ex premier potrebbe ritrovarsi fuori dal Parlamento, interdetto dalla politica. Ancora ci rifiutiamo di credere che la magistratura voglia arrivare fino alle estreme conseguenze. Ancora ci rifiutiamo di pensare che questo Paese faccia lo stesso errore di vent’anni fa, quando eliminò per via giudiziaria un leader politico. Il tempo per fermarci sull’orlo del baratro c’è, ma rischia di esaurirsi in fretta. Esiste la possibilità di pacificare l’Italia e c’è un margine per garantire uno svolgimento regolare della vita democratica di una nazione. Tuttavia, prima che accada il peggio, è indispensabile che qualcuno si svegli, soprattutto a sinistra. Nel Pd vogliono riprovare a risolvere il problema con le manette? Oppure hanno intenzione di evitare ciò che capitò a Craxi e di cui poi si pentirono? Attendiamo risposte.