L'editoriale

Anziché tagliare i politici sparano cifre a casaccio

Lucia Esposito

  di Maurizio Belpietro Negli ultimi giorni della campagna elettorale, durante un incontro tv, avevo chiesto a Pier Luigi Bersani se fosse a conoscenza di quante abitazioni del valore di un milione e mezzo esistessero in Italia. La domanda non era casuale e neppure la cifra era buttata lì senza rifletterci. Un milione e mezzo era il valore, indicato dall’allora segretario del Pd, sopra il quale far pagare l’Imu, scontandola ovviamente a tutti gli altri. La risposta fu disarmante: no, Bersani non sapeva quante case con valore catastale di un milione e mezzo ci fossero in Italia. Non era a conoscenza del fatto che in totale fossero poche centinaia, tra ville e abitazioni di lusso, e dunque la sua proposta semplicemente non stava in piedi, perché i conti non sarebbero mai quadrati. La storia adesso si ripete e, nonostante l’uscita di scena del numero uno del Pd, torna l’idea di un maxi prelievo sulle abitazioni di pregio per trovare i soldi necessari  alla cancellazione dell’Imu sulla prima casa.  Non so su quali numeri si basi questa proposta, forse su quelli del circo, ma a me pare che anche in questo caso  si stiano sparando conti a casaccio. Mi spiego. Lunedì Confedilizia ha diffuso i dati riguardanti le dimore accatastate con la qualifica A1. Si tratta delle cosiddette residenze di lusso, appartamenti che per dimensioni e finiture hanno requisiti certamente non popolari. Ebbene, complessivamente in tutta Italia risultano essere 36 mila. Sì, avete letto bene. Non siamo alle poche centinaia di Bersani, ma neppure alle centinaia di migliaia che ci si potrebbe immaginare e che i populisti di sinistra suppongono.  Se le abitazioni di lusso sono in tutta Italia, isole comprese, 36 mila, significa che i circa 4 miliardi che servono per cancellare l’imposta municipale sulla prima casa devono essere divisi per 36 mila e dunque che ognuno dei fortunati possessori di queste magnifiche magioni, oltre all’Imu che già paga, dovrà sobbarcarsi l’onere di cacciare ogni anno altri 111 mila euro di tassa. Certo, si tratta di persone privilegiate. Di gente che gode del piacere di risiedere in appartamenti o ville da sogno. Ma è pensabile che, oltre alle imposte già versate al momento dell’acquisto e a tutte le spese di mantenimento, per il solo possesso, questi signori si possano permettere di pagare 111 mila euro ogni anno? Il buon senso dice di no, perché in sole tasse, dopo dieci anni, se ne sarebbe andato più di un milione, cifra difficilmente digeribile da chiunque, anche dai ricconi, i quali a questo punto risparmierebbero se decidessero di regalare l’immobile al Fisco. Qualcuno potrebbe però obiettare che chi ha di più è giusto che paghi di più. Osservazione condivisibile, però mi permetto di far notare che il Catasto italiano non è il modo migliore per dimostrare la ricchezza di qualcuno. Basta infatti scorrere l’elenco delle abitazioni signorili e di lusso per rendersi conto che la distribuzione è arbitraria, così come la classificazione. Ciò significa che ci sono luoghi in cui certe residenze sono ritenute da ricchi e altri in cui vengono classificate alla stregua di alloggi popolari. È possibile infatti che Venezia, con i suoi splendidi affacci, abbia solo 228 case di lusso, cioè la metà di quelle che si trovano a Prato? O che La Spezia, una delle città settentrionali con il reddito pro-capite più basso, abbia molte più abitazioni signorili di quante se ne rintraccino a Palermo? E che a Genova si concentrino tutti i miliardari, al punto che le magioni siano in numero equivalente a quelle di Milano e Roma messe insieme? Si potrebbe continuare con il numero delle dimore di Aosta, che sono il doppio di quelle di Bari, o di Trieste, che sono il triplo di quelle di Brescia, ma credo che quanto fin qui elencato dimostri che l’accatastamento è quanto meno opinabile e tiene conto di fattori di cui è lecito dubitare, perché è difficile immaginare che certe residenze romane siano stamberghe o che Campobasso abbia più case di lusso di Varese, Lucca, Asti o Perugia. È vero, ci sono anche decine di migliaia di ville e palazzi di pregio e su quelli il Fisco potrebbe accanirsi per fare cassa alla ricerca di soldi per cancellare l’Imu. Tuttavia, a meno di non voler spremere i possessori come limoni, in quanto l’esproprio proletario non è ancora divenuto legge dello Stato, i conti non quadrerebbero lo stesso.  Al che, scartata l’idea che con la bacchetta magica si fabbrichino i quattrini necessari, per trovare i fondi indispensabili onde  attuare lo sgravio promesso non resta che  la via di ridurre le spese e soprattutto gli sprechi. Cioè l’unica cosa che i nostri politici si rifiutano di fare, quasi che il taglio riguardasse una parte non nominabile del loro corpo. PS. La nostra apertura oggi è dedicata alla Fiat veicoli industriali che se ne va a Londra, cioè non  propriamente un paradiso fiscale ma una capitale che tratta con un certo riguardo le aziende che intendono trovar casa in città. I gonzi sono certo se la prenderanno con l’azienda automobilistica, senza capire che bisogna prendersela con i governi che non abbassano le tasse. L’ho detto e lo ripeto: se si vogliono attirare investimenti dall’estero c’è un solo modo. Abbassare le imposte. Il resto sono chiacchiere.