L'editoriale

Letta è l'ultima spiaggia Pdl

Nicoletta Orlandi Posti

  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Siamo all’Ultima spiaggia, nel senso dello stabilimento balneare in cui si raduna la sinistra colta che frequenta Capalbio. Qui sono di casa Furio Colombo, Alberto Asor Rosa, Claudio Petruccioli, Giacomo Marramao e Paolo Mieli. Professori e giornalisti uniti nella lotta che qui, nella piccola Atene dell’intellighenzia rossa, vengono a riposarsi. E proprio all’Ultima spiaggia, sabato Giorgio Napolitano, fresco di riconferma, ha lanciato il suo messaggio, facendo sapere che il suo non è un mandato a termine. O meglio: il termine c’è, ma è quello del 2020, quando si sarà compiuto il settennato. Prima di quella data - salute permettendo - non è previsto alcun addio anticipato. La precisazione era ufficialmente diretta al suo ex portavoce, Pasquale Cascella, vecchio collega cresciuto all’Unità che ha deciso di lasciare il Quirinale per candidarsi sindaco di Barletta, la sua città. Ma perché il presidente della Repubblica risponde al suo ex portavoce? Perché questi, in un’intervista radiofonica, aveva sostenuto che Napolitano non sarebbe rimasto sul Colle per sette anni, ma avrebbe concluso prima, probabilmente fra un paio d’anni. Tutto risolto dopo il discorso all’Ultima spiaggia? Non tanto. Perché in realtà, nonostante la smentita, l’ipotesi delle dimissioni anticipate resta e incombe sulla scena politica. Il primo a farne cenno, del resto, è stato lo stesso Napolitano nel suo discorso alle Camere subito dopo l’elezione. Il capo dello Stato in quell’occasione aveva fatto un riferimento preciso alla complessa situazione che aveva fino ad allora impedito di formare il nuovo governo e, invitando i partiti a trovare un’intesa, aveva aggiunto che in caso contrario ne avrebbe tratto le conseguenze. La maggior parte aveva concluso che, se non ci fosse stato un accordo, l’uomo del Colle avrebbe sciolto il Parlamento e indetto nuove elezioni, mossa che nel semestre bianco che precedeva la fine del suo primo mandato gli era preclusa. Tuttavia i più scaltri  capirono l’antifona. Napolitano non stava minacciando di mandare tutti a casa, ma di andare in pensione lui per primo, mettendo nei guai chi lo aveva voluto e in particolare il Popolo della Libertà.  Ci spieghiamo.  Napolitano è stato il nome che ha rimesso insieme i cocci di un Parlamento devastato dalle divisioni e soprattutto è stato la figura che ha costretto il Pd a ricompattarsi. Senza di lui, senza cioè la sua disponibilità a rimanere sul Colle, nessuno è in grado di dire che cosa sarebbe accaduto al Partito democratico, se cioè avrebbe chinato il capo e accettato di far parte di un governo di larghe intese o se la guerra intestina fra correnti avrebbe prodotto un’esplosione in mille schegge della truppa capitanata da Bersani. L’ipotesi più probabile naturalmente è la seconda, perché senza il collante di Napolitano è assai probabile che le divisioni nel partito si sarebbero fatte ancora più marcate.   E qui sta il problema. In caso di insuccesso del governo, se cioè Letta non ce la facesse, davvero il capo dello Stato rassegnerebbe le dimissioni?  Questo è ciò che ha promesso di fare e proprio su Libero noi parlammo, nel giorno d’inizio del secondo mandato, di una pistola puntata contro i partiti. In realtà ci sbagliavamo: il revolver è armato ma contro il Pdl, cioè contro il partito che avrebbe tutto l’interesse a una soluzione che prevedesse nuove elezioni, perché i recenti sondaggi danno il centrodestra avanti di almeno sei punti rispetto al centrosinistra e al Movimento Cinque Stelle. Perché diciamo che l’addio di Napolitano è una minaccia nei confronti del Popolo della Libertà e un invito a sostenere Letta? Semplice. Se il presidente si dimettesse in seguito a una crisi di governo non ci sarebbe lo scioglimento delle Camere, ma il Parlamento - pur senza governo - sarebbe chiamato ad eleggere un nuovo capo dello Stato. Si ritornerebbe cioè al punto di partenza e tutti i giochi sarebbero possibili, anche quelli tra i deputati grillini, i quali sono sempre più irrequieti (basti vedere la questione della diaria cui avrebbero dovuto rinunciare e ora forse si intascheranno) e non è detto che fra sei mesi siano ancora disposti a seguire senza fiatare la linea imposta da Casaleggio e C.  Insomma, lo spettro che si agita dietro le dimissioni del presidente della Repubblica è un’alleanza fra Pd e un pezzo del Movimento Cinque Stelle, cioè la soluzione che per un soffio abbiamo evitato grazie alla nomina di Napolitano.  Una fetta del Partito democratico lavora a questa ipotesi e contro il governo Letta ed è per questa ragione che dentro il Pdl sentono il peso di dover sostenere a tutti i costi il governo. Anche perché, se Napolitano lasciasse il Colle, i nomi che tornerebbero ad affacciarsi per sostituirlo sono quelli di Stefano Rodotà e, peggio, di Romano Prodi. Un incubo. Per questo Napolitano è l’ultima spiaggia. E anche Letta.