L'editoriale

Sarà una favoLetta breve

Nicoletta Orlandi Posti

di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet So di dare una delusione ai molti lettori che attendono di sapere se il governo deciderà o meno di abolire l’Imu, tuttavia la questione che va per la maggiore in Parlamento non riguarda l’imposta sulla casa, né se in luogo della tassa sugli immobili ci sarà la famosa defiscalizzazione sulle imprese. Oggi a Montecitorio e dintorni semmai ci si interroga sulla durata dell’esecutivo di larghe intese. A pochi giorni dal giuramento di Enrico Letta e a soli tre dall’ottenimento della fiducia, la strana maggioranza si chiede se il premier ce la farà e fino a quando. In molti, a destra e sinistra, sono infatti pronti a scommettere che il nuovo governo supererà la boa delle vacanze di agosto, ma a ottobre, massimo novembre il presidente del Consiglio sarà costretto a gettare la spugna. Si tratterebbe se non di un esecutivo balneare, cioè con una vita limitata al periodo estivo, di un governo a tempo:  quello necessario a cancellare l’attuale legge elettorale. Eccesso di pessimismo? Mica tanto. A far pendere la bilancia verso l’ipotesi di un’esistenza breve delle larghe intese, oltre alla pessima partenza sull’Imu e al battibecco tra ministri Pd e parlamentari Pdl, ci sono altre motivazioni, che cercherò di spiegare qui di seguito. Comincio dalle ore che hanno preceduto il varo del nuovo governo. Come si sa in molti dentro il Partito democratico erano contrari e soltanto le forti pressioni di Giorgio Napolitano hanno indotto i riottosi a dare il via libera, votando la fiducia. Le perplessità non sono però venute meno dopo la fiducia, anzi semmai si sono rafforzate.  A tanti parlamentari della sinistra non piace l’alleanza con il Popolo della Libertà, perché non sanno come giustificarla ai propri elettori. L’abbraccio con Berlusconi è per molti di loro insopportabile e ancor più insopportabili sono le pressioni che gli iscritti esercitano su di loro. Dunque, nel partito cresce una fronda che è pronta a liquidare l’unità nazionale appena se ne presenterà l’occasione, cioè fra qualche mese, quando i principali nodi irrisolti – per lo più economici – verranno inevitabilmente al pettine. In tal senso è stata interpretata l’intervista di Massimo D’Alema al Corriere della Sera. L’ex ministro degli Esteri, pur essendo stato rottamato dalla furia di Matteo Renzi, resta uno dei punti di riferimento del partito. Tanto di riferimento che la sua corrente – o per lo meno quel gruppo di parlamentari che a lui fa capo – è stata ritenuta responsabile dell’affossamento dell’elezione di Romano Prodi al Quirinale. Che ha detto l’ex lider Maximo al quotidiano di via Solferino? Semplicemente che l’alleanza Pd-Pdl è contro natura e la diversità tra Pd e Pdl si manifesterà nel tempo. Come dire che tenere in piedi il governo Letta sarà molto difficile. Per questo motivo l’ex segretario del Pds suggerisce di abolire subito la legge elettorale, senza indugiare troppo alla ricerca di riforme più ampie. Così, alla peggio, se l’esecutivo cadrà dopo l’estate si potrà sempre andare a votare con la vecchia legge elettorale, il Mattarellum al posto del Porcellum. Ma non c’è solo D’Alema a pensare che Letta non ce la farà. In fondo, pur avendolo pubblicamente appoggiato, anche Matteo Renzi potrebbe avere interesse a chiudere prima del tempo l’esperienza del governo di larghe intese. Se si vota, il sindaco di Firenze torna in gioco e stavolta ha la strada sgombra per fare il candidato premier del centrosinistra. Senza contare poi gli altri del Pd che tifano per il fallimento, dalla Bindi a Civati per finire ad Orfini: tutta gente per la quale Letta è un brutto rospo da ingoiare. Fin qui il Partito democratico. Ma non è che nel Popolo della Libertà siano tutti al settimo cielo per la nascita dell’esecutivo. In molti si sono rassegnati a far buon viso a cattiva sorte, ma in fondo restano contrari alle larghe intese con il nemico di sempre. Un po’ perché non sono convinti che Letta abbia la forza per imporre decisioni impopolari al suo partito e dunque per rilanciare l’economia. E  un po’ perché in tanti sono rimasti fuori dai giochi, senza posti da ministro o altri strapuntini, e perciò intravedono nelle elezioni un modo per prendersi una rivincita, anzi, per riprendersi una poltrona, convinti che se oggi si ritornasse alle urne vincerebbe il Pdl, dato che il centrodestra nei sondaggi  risulta in vantaggio di sei punti sul centrosinistra.  Finirà così? A naso non lo escluderei e forse non lo esclude neppure lo stesso Letta, che ieri, dopo il giro turistico in Europa, ha confidato che la sua è una corsa contro il tempo, confermando di voler abbassare le tasse, ma senza sfasciare i conti pubblici. Ergo: significa che Merkel, Hollande e Barroso non hanno fatto all’Italia alcuna concessione. Ne consegue che il governo non soltanto non ha soldi per finanziare l’abolizione dell’Imu e gli incentivi alle assunzioni, ma neppure ha molte settimane a disposizione. Perciò i più ottimisti cominciano a pensare a nuove elezioni in coincidenza con il rinnovo del Parlamento europeo. Un’altra campagna elettorale d’inverno…