L'editoriale

La favoletta

Eliana Giusto

di Maurizio Belpietro Il presidente del Consiglio ieri ci ha dilettati con un discorso lungo un’ora in cui ha distribuito promesse a tutto l’arco parlamentare. Programma bello, bellissimo, con un solo lato oscuro: i soldi chi li mette? Da dove tiriamo fuori le decine di miliardi che servono per togliere l’Imu sulla prima casa, per varare incentivi per le assunzioni dei giovani, per abolire il prossimo aumento dell’Iva e allo stesso tempo mandare in pensione gli esodati? Nella presentazione alla Camera del suo governo, Enrico Letta non ha dimenticato nessuno, mettendo una  buona parola per tutti. Giovani, donne, precari, famiglie bisognose, immigrati, volontari, forze dell’ordine, imprese in credito con lo Stato: ognuno ha avuto la sua citazione e l’impegno a fare qualcosa. Tuttavia per ora non si sa che cosa, perché il premier in cerca di fiducia ha preferito non addentrarsi nel merito, scegliendo di sorvolare sui dettagli di come si mette in pratica ciò che è stato enunciato.  Letta ha fatto il Letta, dimostrando di essere quel che sappiamo e cioè una persona misurata e di buon senso, rispettosa di tutti e di tutte le regole, e soprattutto - come il più noto zio - un gran mediatore. Per questo motivo a Montecitorio ha strappato decine di applausi. Difficile fischiare un presidente del Consiglio che sta con l’Europa ma anche con le vittime della politica di austerità imposta dalla Ue; che elogia i carabinieri feriti in piazza Colonna da un uomo che voleva uccidere un politico ma definisce il gesto dell’attentatore frutto della rabbia e dello scoramento. Un presidente del Consiglio che si presenta con umiltà, dicendosi consapevole dei propri limiti, e che come esempio di forza e fermezza cita la figlia Martina del brigadiere Giuseppe Giangrande. Letta è Letta. Non è un uomo di rottura ma di intesa. Anzi, di larga intesa. È vero, proviene dal Pd, ma con lui siamo passati dalla lotta di classe al Letta di classe, perché nei tratti e nei comportamenti il nuovo capo del governo è un signore. Il problema è che il Paese non ha bisogno solo di bon ton ma pure di essere governato e questo significa che si devono stabilire delle priorità e che per tradurre in opere quanto si è promesso al Parlamento è necessario trovare le risorse.  Il premier, al contrario, ha esordito premettendo il rispetto degli impegni con l’Europa, in particolare per quanto attiene ai vincoli di bilancio, ma poi ha parlato di riduzione delle tasse sul lavoro, quello stabile e giovanile, assicurando il superamento del sistema di tassazione sulla prima casa e la rinuncia all’inasprimento dell’Iva. Non solo: dalla cornucopia con cui si è presentato di fronte ai deputati ha estratto anche il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga e l’estensione degli ammortizzatori sociali ai precari, una «forma di reddito minimo garantito» alle famiglie bisognose e la soluzione al problema degli esodati. Il tutto accompagnato dalla promessa di un fisco più umano e dunque di un allentamento della presa di Equitalia, ma allo stesso tempo di una lotta senza quartiere all’evasione fiscale.  «Ottimo e abbondante», sono state le parole con cui il capogruppo del Pdl Renato Brunetta ha commentato il discorso  del premier. Ma quando si è trattato di dire dove si prenderanno i soldi, l’abbondanza del presidente del Consiglio ha finito per trasformarsi in reticenza. È vero, Enrico Letta ha annunciato l’abolizione dello stipendio dei ministri parlamentari, ma in tutto si tratta di dodici buste paga, in quanto gli altri componenti del governo non sono onorevoli.  Manovra popolare che si somma alla promessa di abolire le Province e di togliere il finanziamento pubblico ai partiti. Tuttavia con i tagli anti Casta si arriva al massimo a un risparmio di un miliardo, un po’ poco per finanziare tutti gli interventi elencati nel programma.  E allora, come si fa? Per questa ragione nel discorso del capo del governo di unità nazionale avremmo gradito sentire parole precise sulla spesa pubblica e sul modo per ridurla. Dopo due anni passati a discutere di spending review, con sottosegretari ad hoc e commissari ad acta, avremmo preferito passare dalle parole ai fatti, dalle enunciazioni ai tagli. E invece niente, neanche una parola. Il presidente del Consiglio è rimasto zitto anche sul patrimonio pubblico, immensa risorsa la cui vendita da sola consentirebbe di finanziare un piano di riduzione delle tasse e di sostegno alle famiglie bisognose. Ecco, invece del libro dei sogni, avremmo voluto che ci venisse presentato il libro dei conti, ma di quelli veri. Perché la favoletta è bella, ma la realtà è un’altra cosa.