L'editoriale

L'ostacolo più grande è la spocchia della sinistra

Andrea Tempestini

  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Quanto sia strana questa nostra Italia lo dimostra l’attesa per l’incontro di ieri fra Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi. Che i leader delle due principali formazioni politiche del Paese si vedano e dialoghino fra loro sulle decisioni da prendere nel prossimo futuro, in una normale democrazia dovrebbe essere la regola, non l’eccezione. Perfino nei momenti di peggior tensione Enrico Berlinguer incontrava i capi Dc, convenendo su alcuni passaggi delicati della vita politica italiana, e pensare che c’era ancora la guerra fredda. Dove sta dunque la novità se il segretario del Pd e il presidente del Pdl si incontrano? Lo strano a ben vedere è che non lo avessero mai fatto prima. Se si esclude la visita che Bersani fece a Berlusconi dopo che questi era rimasto vittima del lancio di una miniatura del Duomo di Milano, in tre anni e mezzo da segretario il numero uno del Pd non aveva mai sentito prima il bisogno di dialogare con la controparte. Né quando il Cavaliere stava a Palazzo Chigi e dunque era capo del governo. Né in seguito, quando, una volta dimessosi, il leader del Popolo della libertà era di fatto divenuto un suo alleato, perché insieme sostenevano Mario Monti facendo parte della stessa maggioranza. Colui che ancora si sente presidente del Consiglio incaricato, cioè premier in pectore di un governo che non c’è e forse non ci sarà mai perché non ha i numeri per nascere, ieri, prima di incontrare Berlusconi, in una trasmissione ha detto che quando lo avesse visto gli avrebbe detto:  ti conosco mascherina. Ma come fa un leader politico a conoscere un suo avversario se non lo ha mai incontrato? Se con lui non ha mai discusso di politica e di scelte che riguardano il Paese? Come può dire di sapere chi ha davanti, con chi deve misurarsi, se al massimo negli anni lo ha seguito in tv e sui giornali? Nella rappresentazione di questo duello a distanza, di questa relazione politica vissuta non in presa diretta ma mediata dalle immagini dei talk show e dall’interpretazione dei notisti politici, è sintetizzata tutta l’anomalia italiana. Un’anormalità costituita da una perenne incomunicabilità fra i partiti, i quali non hanno punti di contatto e di confronto semplicemente perché una parte non reputa l’altra all’altezza di essere un interlocutore degno del nome. Come un giorno è scappato di dire a Dario Franceschini, ex segretario Pd, la sinistra ha un complesso di superiorità, vuole scegliersi gli avversari e decidere perfino chi debba guidarli. È questa mancanza di legittimazione che impedisce di sedersi attorno a un tavolo e trovare un’intesa. È questa assoluta stranezza che ci distingue dagli altri Paesi democratici che non rende possibile fare ciò che Enrico Berlinguer fece nel 1978, quando, come ha ricordato Giorgio Napolitano che la questione la visse in prima persona, aprì alle larghe intese, cioè al dialogo con la Dc per battere il terrorismo e fronteggiare la crisi. È questo ciò che manca oggi. Il coraggio di rompere gli schemi, di riconoscere pari dignità agli altri, di mettere da parte l’arroganza della sinistra. Ed è per tale motivo che un semplice incontro, un colloquio di un’ora su temi generali, senza che vi sia stato tempo di approfondire davvero questioni scottanti come governo e presidenza della Repubblica, fa quasi gridare al miracolo. Berlusconi e Bersani dopo anni di incomunicabilità si parlano. Evviva. Forse esiste qualche possibilità di porre fine al dialogo tra sordi. Se dovessimo scommettere qualche euro sulla riuscita dello straordinario confronto ovviamente ce ne guarderemmo bene, troppa è l’esperienza accumulata negli anni, con ogni tentativo di mediazione naufragato. E troppa è la conoscenza di una classe politica progressista ancora fortemente ideologica per accettare di farsi guidare dal buon senso. Non a caso Bersani, appena lasciatosi alle spalle l’appuntamento con il Cavaliere, ha ritwittato: no al governissimo. Ciò nonostante, attendere fiduciosi l’esisto del miracolo dei colloqui di pace non costa niente. Maggio è vicino, se son rose, con l’elezione del capo dello Stato lo vedremo. Per ora abbiamo le spine.