L'editoriale
L'arma finale di Pd e Grillo per far fuori Berlusconi
di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Che cosa accadrebbe in Italia se il Pdl, la Lega e gli altri alleati del centrodestra, disponendo di una maggioranza parlamentare ampia, decretassero l’ineleggibilità di Pier Luigi Bersani o di qualsiasi altro leader della sinistra, privandolo della nomina a onorevole e decapitando di fatto l’opposizione? La risposta non è difficile da immaginare. I progressisti in coro griderebbero al golpe, sostenuti in questo da gran parte della stampa e dei commentatori. Partiti e sindacati proclamerebbero uno stato di agitazione permanente e c’è da giurare che porterebbero in piazza una moltitudine di persone e bandiere. Ebbene, ciò che abbiamo ipotizzato in linea teorica potrebbe succedere già domani, cioè nelle prossime settimane o nei prossimi mesi, ma a parti rovesciate. Ossia non con Bersani, Vendola o altri esponenti della sinistra nel ruolo di persone non gradite e dunque ineleggibili, ma con Silvio Berlusconi come al solito nei panni dell’indesiderato da allontanare dalle Camere. Fallita per ora la possibilità di metterlo agli arresti domiciliari (la speranza era riposta nei pm di Napoli, cioè in un ordine di custodia cautelare con l’accusa di corruzione per aver traghettato Sergio De Gregorio dall’Idv al Pdl, ma il gip ha respinto la richiesta di un processo immediato, giudicando l’imputazione sprovvista del requisito fondamentale: le prove) e in attesa di una sentenza definitiva che lo collochi fuori dal Parlamento ma che potrebbe arrivare solo fra parecchi mesi, non resta che la via sbrigativa e relativamente semplice di dichiarare il Cavaliere ineleggibile. Siccome in caso di contestazioni decide la giunta del Senato, dove il leader del centrodestra è eletto, ecco trovata la soluzione per il delitto perfetto. Nella commissione il Pdl e la Lega sono minoranza, perché tre quarti dei commissari sono del Pd o cittadini pentastellati. Risultato: se qualcuno si incaricasse di sollevare il problema, come dicono di voler fare i grillini e come - pur essendo fuori dal Parlamento - ha già fatto Antonio Di Pietro, è assai facile immaginare che Berlusconi sarebbe «espulso» dall’aula, cioè mandato a casa e lasciato alla mercé di qualsiasi procura. Insomma, la liquidazione della storia politica degli ultimi vent’anni avverrebbe con uno sgambetto di rara scorrettezza. Invece di affrontare il nodo del leader di una coalizione che in Parlamento ha il trenta per cento degli eletti, semplicemente lo si elimina, privandolo del ruolo di senatore e del potere di rappresentanza, come avviene in certi Paesi sudamericani o in alcuni regimi. Eppure, per quanto sembri golpista questa scorciatoia, per quanto appaia incredibile che la sinistra intenda dopo quasi vent’anni adottare metodi sbrigativi da Ghepeù, la terribile polizia segreta di Stalin, pare proprio questa la strada che in parecchi ambienti progressisti si vorrebbe imboccare. Del resto, a lanciare l’idea dell’ineleggibilità è stata Micromega, la rivista dei forcaioli doc, subito ripresa da La Repubblica, ossia il quotidiano radical chic che da sempre detto la linea ai radical scioc, e dal Fatto quotidiano, con la penna di Furio Colombo e altri giustizialisti. Ieri poi si è aggiunta l’Unità, con un pezzo dell’ex vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti, ora approdato alle Camere sotto le insegne del Pd. Alle prediche dei giornali che dettano la linea ai progressisti si sono unite ieri anche le frasi di Antonio Ingroia, leader di una rivoluzione finita prima di cominciare. Pur non essendo più in campagna elettorale, il pm in trasferta guatemalteca ha usato contro Berlusconi parole di fuoco, accusandolo di essere un estremista che rifiuta le regole democratiche, augurandosi che presto sia tolto di mezzo. Se questa è l’aspirazione, c’è da dire che in molti si stanno dando da fare per eliminare il Cavaliere: in barba ai quasi dieci milioni che l’hanno votato, in Parlamento si lavora per renderlo inoffensivo, mandandolo ai giardinetti e presto a quelli pubblici e recintati di un penitenziario. Vista la prospettiva, non c’è da stupirsi che da qualche giorno Berlusconi stia alzano i toni, minacciando sconquassi che poi si riducono ad adunate di piazza. La prima l’hanno fatta un po’ di parlamentari, che si sono presentati al Palazzo di giustizia di Milano suscitando scandalo (se l’onorevole è di destra il corteo è eversivo, se invece a farlo sono deputati e senatori comunisti come ai tempi di Umberto Terracini, si tratta di una manifestazione democratica). Sabato la sfilata si ripete a Roma, ma è probabile che il Cavaliere punti a un raduno più oceanico nel prossimo futuro, soprattutto se Bersani e compagni tenteranno di eleggere da soli il nuovo presidente della Repubblica. In gioco non c’è solo l’occupazione manu militari delle più alte cariche dello Stato, ma anche il futuro stesso del centrodestra. Non essendo riusciti a eliminarlo nelle urne, la sinistra tenta la strada della sua cancellazione dal Parlamento, colpendo l’uomo che da vent’anni ne è il collante oltre che la forza motrice. Dopo quasi due decenni si ripropone dunque la lotta contro Berlusconi, la sola battaglia in grado di unire Pd e Cinque Stelle. Ma se la crisi finanziaria peggiorasse, se il Paese andasse a rotoli, se ci fosse bisogno di un governo di emergenza, cosa dirà Bersani agli italiani? Che non ha fatto nulla e nulla è in grado di fare perché ha dovuto lavorare per sbarazzarsi di Berlusconi?