L'editoriale
Bluff scoperto: Grillo fugge dal governo
di Maurizio Belpietro Passata la sbornia dei risultati elettorali sarà forse il caso di tornare a ragionare, rimettendo al loro posto i fatti. Vediamo dunque di provarci. Con i risultati conseguiti, il Movimento Cinque stelle ha sconvolto la scena politica: partendo da zero, Grillo e i suoi sono divenuti il primo partito d’Italia e ora dettano legge. Un successo che ha spazzato via le ambizioni di Pier Luigi Bersani, perché, sottraendo voti soprattutto al Partito democratico, l’M5S ha impedito allo schieramento di sinistra di proclamarsi vincitore. Di conseguenza, grazie alla legge elettorale che gli assegna un premio di maggioranza enorme, il compagno segretario ha i numeri per governare alla Camera ma non al Senato. A Palazzo Madama Bersani deve per forza trovare dei compagni di viaggio, cioè qualcuno che si dichiari disponibile a votargli la fiducia. In principio, cioè prima che i dati del voto fossero disponibili, avendo già intuito che non ce l’avrebbe fatta, la sinistra aveva fatto conto di imbarcare Mario Monti e l’Udc, ma una volta scrutinate le schede si è capito che il presidente del Consiglio ha un consenso che al massimo gli può consentire di governare una bocciofila, niente di più. Aperti gli occhi sulla sgradevole realtà, il segretario del Pd si è rivolto a Grillo, supplicandolo di entrare nella maggioranza, pronto a regalargli qualsiasi cosa, anche la presidenza della Camera e una serie di altri gadget. Nonostante una prima pernacchia, Bersani ha provato a insistere, ma il comico ha rincarato la dose, mandandolo al diavolo, cioè da D’Alema e Veltroni. La scena di un leader politico che si candida a guidare un Paese, ma insegue con il cappello in mano il santone di Genova è già di per sé imbarazzante e da sola dimostra l’inadeguatezza del compagno di Bettola a svolgere il ruolo che si è ritagliato, cioè quello di premier. Tuttavia, se questo è un primo dato di fatto, ce n’è un secondo che non deve essere sottovalutato e riguarda l’atteggiamento del fondatore del Movimento Cinque stelle. Finora, nonostante le allettanti promesse del Pd, Grillo ha detto di no a tutto. La sola cosa che egli ripete senza stancarsi è che gli attuali partiti devono andare a casa perché hanno fallito e non sono degni di rappresentarci. Si può anche essere d’accordo con la tesi del comico, ma c’è da chiedersi che cosa accadrebbe se domattina all’improvviso, grazie a un colpo di bacchetta magica sparissero i principali protagonisti della vita politica italiana. Via Berlusconi, Bersani, Monti, Casini, D’Alema, Alfano, Tremonti, Maroni, eccetera eccetera. Cancellati tutti, chi prenderebbe le redini del Paese? Grillo e i suoi? Il comico per la verità la proposta di un governo del Movimento Cinque stelle l’ha buttata lì, provocatoriamente, in risposta alle offerte di Bersani. Ma ve lo immaginate un esecutivo a Cinque stelle? Provate un po’ a immaginare Grillo presidente del Consiglio, Roberto Casaleggio ministro delle Finanze, Bartolomeo Pepe, il neo senatore grillino che non sa dov’è il Senato né come si elegge un presidente della Repubblica ma vuole solo dare dell’assassino a Bersani e importare la democrazia di Chávez, ministro dell’Interno. Al Quirinale invece, come da proposta del comico, ci andrebbe il premio bomba Dario Fo. Per programma di governo, subito l’abolizione della Tav Torino-Lione, il blocco della Pedemontana, cioè della strada che alleggerisce il traffico attorno a Milano, divieto assoluto di costruire discariche, inceneritori o termovalorizzatori in tutta Italia. Negata anche l’autorizzazione a realizzare rigassificatori, cioè impianti di stoccaggio di gas. Stop ai centri commerciali e agli insediamenti che impediscono la ripopolazione dei rospi, come da battaglie sostenute dagli adepti del Movimento Cinque stelle. La Repubblica invece che fondata sul lavoro verrebbe rifondata sulla vita agreste, ognuno avrebbe diritto all’orto fuori casa e l’obbligo di autoprodursi l’energia di cui ha bisogno. I Kolchoz tornerebbero di moda e anche la collettivizzazione della terra verrebbe riproposta fra le novità. Insomma, con Grillo al governo il ministero di cui oggi si occupa Corrado Passera verrebbe presto ribattezzato Dicastero del Sottosviluppo economico e quello dei Trasporti pubblici diverrebbe il ministero degli Ingorghi pubblici, dovendo solo limitarsi a dirigere il traffico. Tutto ciò ovviamente lo sa anche il mahatma ligure, il quale infatti ha una paura fottuta di trovarsi non a Palazzo Chigi, ma anche solo nell’anticamera di un governo. In quelle stanze Grillo non saprebbe cosa fare, se non mandarci in fallimento e dire che è contro tutto. I suoi programmi contro la Casta contenterebbero per un po’ gli elettori di bocca buona, ma poi, cancellati i rimborsi elettorali, ridotto il numero di parlamentari, dimezzati gli stipendi degli onorevoli, il comico dovrebbe anche riempire la pancia degli italiani, dar lavoro ai disoccupati, far ripartire l’economia e crescere le industrie. E queste non sono cose che si risolvono con una battuta né intimando ai partiti di arrendersi perché circondati. Insomma, un conto è fare uno spettacolo. Un altro è guidare un Paese. È per questo che Grillo scappa di fronte alla sola ipotesi di essere coinvolto nel governo o nella maggioranza. L’idea lo atterrisce. E, se dobbiamo confessare la verità, spaventa anche noi.