L'editoriale
Non ripetiamo gli errori di Tangentopoli
di Maurizio Belpietro Quando nella primavera 1993, all’uscita dell’hotel romano in cui soggiornava, tirarono le monetine in testa a Bettino Craxi, io non c’ero. Ma all’epoca facevo il vicedirettore de L’Indipendente, un quotidiano di Milano che cavalcava la voglia di forca e l’azione dei magistrati, e perciò ricordo con precisione l’entusiasmo con cui in redazione fu accolta la notizia. Gli italiani – cronisti compresi - non ne potevano più e volevano mandare a casa una classe politica giudicata corrotta e incapace. Il segretario del Psi, un po’ per gli errori commessi, un po’ perché non piaceva né ai magistrati né ai giornalisti a causa della sua aria arrogante e sicura di sé, finì dunque per farne le spese, divenendo agli occhi dell’opinione pubblica – adeguatamente fomentata da pm e stampa - il capro espiatorio ideale. Davanti al Raphael non c’era che un centinaio o poco più di ragazzotti e attaccabrighe, ma quella contestazione improvvisata, o forse sarebbe il caso di dire organizzata perché furono i leghisti e i missini a prendervi parte, fu l’atto finale della prima repubblica. La rappresentazione plastica di una stagione sulla quale di lì a poco sarebbe calato il sipario. Perché ricordo l’episodio di vent’anni fa, che – detto tra parentesi – ebbe per testimone il nostro Giampaolo Pansa, il quale lo racconterebbe meglio e con più dettagli del sottoscritto? Semplice, perché i fatti mi sono ritornati in mente ieri, quando ho letto delle monetine tirate a Giuseppe Mussari, l’avvocato senese che fu presidente del Monte dei Paschi e dell’Abi. Un manipolo di giovanotti ha scagliato centesimi e insulti contro l’ex banchiere mentre entrava in Procura, dove era atteso per l’interrogatorio. Un fotografo lo ha ritratto mentre fa una smorfia e probabilmente l’istantanea diventerà il simbolo di un mondo che crolla, così come quella di Craxi inseguito dai contestatori testimoniò la caduta del leader socialista e della prima Repubblica. Siamo per questo di fronte a una nuova Tangentopoli, cioè a un fenomeno così diffuso di corruzione da richiedere come vent’anni fa una supplenza della magistratura e la cancellazione di interi partiti come nel ’93 avvenne con la Dc, il Psi, ma in definitiva anche il Psdi, il Pli e il Pri? Io penso di no, anzi credo che dagli errori del passato si debba trarre qualche insegnamento per evitarne di futuri. Cominciamo dal pentapartito. Liquidarlo, archiviando la storia di partiti centenari come se fosse riducibile a quella di organizzazioni criminali, non ci ha dato né un’Italia meno corrotta né un paese più efficiente. La nuova classe politica semmai si è dimostrata più inetta della precedente e forse perfino più arraffona. La burocrazia ha continuato a proliferare, consentendo di creare nuove occasioni per rubare. La giustizia invece di perseguire i reati più allarmanti ha preferito dare la caccia a quelli politicamente più eclatanti, scegliendo con cura gli imputati vip. Risultato? Stiamo peggio di prima. Con più debiti, più scandali e meno condannati. La politica non conta più niente. Contano i magistrati, quelli che fanno inchieste sulla politica per poi approdare in politica, contano, o almeno contavano fino a ieri, i banchieri e gli imprenditori, ma adesso sono diventati essi stessi vittime dell’ansia di moralizzazione. Intendiamoci: non voglio assolvere gli uomini del credito, i quali si sa, il credito lo fanno solo a se stessi e ai loro amici o agli amici degli amici, anzi ai compagni dei compagni, e di certo i soldi non li danno a chi ne ha bisogno. Ciò detto, però pensare che Mussari sia il capro espiatorio di ciò che è accaduto al Monte dei Paschi di Siena è non solo sbagliato, ma un modo per fare gli stessi errori fatti vent’anni fa. Levare di torno l’avvocato del Pd, l’uomo che ha fatto fino a ieri il bello e il cattivo tempo a Siena, non servirà a capire perché gli italiani ora devono pagare 4 miliardi per evitare la bancarotta di Mps. Lo scandalo della banca tanto cara al Partito democratico, che dai suoi dirigenti ha ricevuto attenzioni e favori, è il rovescio della medaglia dello scandalo della corruzione politica, dell’occupazione da parte dei partiti della vita pubblica, della burocrazia dello Stato che soffoca la vita del paese. Se non si capisce questo, se si pensa che le colpe siano solo di Mussari e al massimo di qualche referente locale del Pd, non andremo lontano, anzi, ci prepareremo a un nuovo e peggiore tonfo. Lo stesso ragionamento vale per il caso Finmeccanica, ma potremmo aggiungere per il caso Eni, Ilva, Scaglia, Mandara e così via. Vale per tutte le imprese, che operano in Italia o all’estero e che affrontano problemi di commesse pubbliche , fiscali o più semplicemente norme ambientali. Fare l’imprenditore o il manager da noi è difficile, perché le leggi sono tantissime e in contraddizione, perché la discrezione dei funzionari è enorme e quella dei pubblici ministeri e degli ispettori delle tasse ancora di più. Risultato, ogni occasione è buona per finire nei guai. Berlusconi ha il torto ogni tanto di fare la pipì fuori da vaso e perciò ieri si è dovuto rimangiare la storia del così fan tutti, cioè delle aziende che oliano i contratti esteri. Ma purtroppo è la verità e lo confermava proprio ieri un professore americano su La Stampa, spiegando che ciò che noi chiamiamo tangenti negli Usa lo chiamano lobbing. Tutte le grandi imprese che operano all’estero lo fanno, soprattutto nei Paesi mediorientali o asiatici, ma pochi lo perseguono, perché per alcune nazioni (anche europee) non è reato. Insomma, non voglio sostenere che l’Italia sia un Paese in cui non esiste la corruzione, la politica non faccia schifo e i cittadini non stiano sempre peggio. Cerco solo dire che parlare di Tangentopoli, prendere a monetine e insulti Mussari, mettere in galera Orsi, spazzar via gli attuali partiti per rimpiazzarli con quelli di Grillo e Ingroia non ci servirà a stare meglio, ma solo ad avere l’illusione di cambiare per ritrovarci, dopo un po’, nelle stesse condizioni. Di Pietro vent’anni fa sembrava la soluzione di ogni male, per lo meno del magna magna, ma un certo numero di dipietrini che lui ha portato nelle istituzioni ha usato centinaia di migliaia di soldi pubblici per giocarseli alle slot machine e comprarsi mutande e reggiseni sexy. Dov’è l’errore allora? Sta nel sistema, in una serie di leggi inutilmente complesse, nella Costituzione che impedisce di avere un governo che fa poche leggi, facendole applicare rapidamente e senza stravolgimenti o interpretazioni. Sta in un baraccone repubblicano che costa una montagna di soldi e produce solo corruzione e malaffare. Sta in un certo moralismo bigotto che ogni cosa la considera reato e non distingue tra ciò che non si può fare perché è dannoso per gli interessi nazionali e ciò che non è esteticamente bello ma è utile e serve al Paese. Fare di ogni erba un fascio, perseguire chi olia un affare all’estero per procurare lavoro alla propria impresa e al proprio Paese come chi si fa con chi corrompe qualcuno in Italia per un’opera pubblica che non serve, non è la stessa cosa. Tirare le monetine a Mussari, senza riflettere su chi lo ha messo ai vertici di un istituto di credito, su cosa abbia trasformato un semplice avvocato di provincia in un banchiere che maneggiava miliardi, non è molto intelligente né saggio. E chi sostiene il contrario, parlando di moralizzare il Paese, pensando che basti liberarsi di Formigoni o di Berlusconi, di Mussari e di Orsi, per stare meglio, ci regalerà solo un’Italia più povera e ancor più rancorosa, sostituendo chi c’era prima con altri che faranno peggio. Preparate dunque altre monetine.