L'editoriale

Caro Napolitano, sullo scandalo Mps non ci imbavagliamo

Andrea Tempestini

Illustre presidente Napolitano, nonostante non abbia con lei molta confidenza, dopo il caso Sallusti  mi corre l’obbligo, per la seconda volta, di bussare alla sua porta. Ho letto la notizia dell’appello che ha rivolto ai giornalisti a proposito del Monte dei Paschi di Siena e ne sono rimasto sorpreso. Incontrando al Quirinale una delegazione della categoria, lei si è premurato di segnalare che la pubblicazione di certe informazioni ha una ricaduta sulla stabilità dei mercati. Come è noto, la banca senese è quotata in Borsa e qualsiasi cosa venga riferita dai giornali riguardo all’inchiesta rischia di produrre effetti sul corso delle azioni.  Un analogo invito alla cautela lei lo aveva rivolto un giorno prima, rispondendo alle domande del direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano, il quale, facendole notare che quando i giornalisti scoperchiano scandali e intrecci tra finanza e politica fanno solo il loro dovere, aveva ottenuto per risposta un richiamo alla cautela, a tutela dell’interesse nazionale. A suo giudizio la stampa fa bene a far luce su situazioni oscure e comportamenti devianti, ma «va salvaguardato il patrimonio di credibilità e prestigio, anche fuori dall’Italia, di storiche istituzioni pubbliche di garanzia, insieme con la solidità del nostro sistema bancario». Apparentemente il suo è un discorso di buon senso, di un capo dello Stato che, essendo preoccupato per la situazione del Paese, esorta i giornali a non esagerare,  sollecitandoli a contemperare l’informazione con il bene dell’Italia.   Certo, le sue parole potrebbero essere interpretate così, se non fosse che negli anni del suo settennato, mentre l’interesse nazionale veniva sistematicamente messo da parte per esigenze di lotta politica contro lo schieramento che all’epoca era al governo, non mi pare di ricordare suoi interventi per auspicare che si mantenesse una certa misura e all’estero non fossero infangate le nostre istituzioni. Può darsi che sia colpa mia e che mi difetti la memoria, ma quando le intercettazioni telefoniche che riguardavano Silvio Berlusconi venivano diffuse dai principali organi di stampa, nonostante non vi fossero risvolti penali che coinvolgessero il Cavaliere, non mi sembra che da lei sia arrivato un altolà. Il cortocircuito tra giornali e giustizia da lei citato l’altro ieri non è un fenomeno di cui in questo Paese si è avuta notizia con l’esplodere dello scandalo della banca del Pd. Sono vent’anni che assistiamo al circo delle indagini giudiziarie che finiscono prima sui giornali che nelle aule di tribunale, senza nessuna verifica e spesso senza alcun fondamento. Ricorda quando un settimanale pubblicò le conversazioni del Cavaliere con un dirigente Rai? Forse no, perché l’inchiesta è finita nel nulla, senza dar luogo neppure ad un processo. Però di quelle intercettazioni si è parlato per mesi e per mesi si sono rincorse le voci di particolari piccanti riguardanti due ministre. Nessuno vide mai i brogliacci e c’è da desumerne che si trattasse di una frottola, eppure oscurarono a lungo il dibattito politico.   Oppure, illustre Presidente, le viene in mente la battutaccia sulla signora Merkel, definita «Culona inchiavabile»? A pubblicarla fu un quotidiano, ma nelle carte dell’inchiesta della Procura competente nessuno ha mai trovato il virgolettato. Vero o falso? Probabilmente un’invenzione, visto che agli atti non se ne trova traccia, ma al Colle nessuno sentì l’esigenza di denunciare il cortocircuito tra stampa e giustizia. Eppure in gioco c’era l’interesse nazionale: quanto pubblicato poteva  compromettere le relazioni fra Italia e Germania e incrinare il rapporto tra il nostro primo ministro e la Cancelliera di ferro. Invece non successe niente. Insomma presidente, non vorrei che in questi anni lei si fosse distratto e si fosse accorto solo ora del perverso uso che si è fatto in Italia del tema della giustizia, impiegandolo  nella lotta politica più che in quella contro il crimine. Pochi giorni fa, perfino a un magistrato come Antonio Ingroia, che certo non è sospetto di nutrire sentimenti di amicizia nei confronti del Cavaliere, è scappato di dire che certe intercettazioni sono state usate politicamente. E lei, lei dov’era quando ciò è successo? Perché non ha sentito impellente la necessità di tutelare l’interesse nazionale, il buon nome del nostro Paese e di chi pro tempore lo rappresentava in Italia e all’estero? O forse la difesa del bene nazionale riguarda solo le banche e i quattrini che queste amministrano? Il capo di un governo può essere trascinato nel ridicolo e nel fango, ma un istituto di credito e uno di vigilanza no:  è questo ciò che pensa?  Vede presidente, se lei fosse intervenuto anche in passato, nessuno si sarebbe stupito e il suo appello sarebbe risultato tutt’altro che stonato. Ma così non è stato. Perciò si fa largo il sospetto che, mentre prima a lei dell’interesse nazionale rappresentato da un presidente del Consiglio di centrodestra importasse poco o nulla, ora all’interesse nazionale costituito da una banca da anni nella disponibilità della sinistra sia molto sensibile. Insomma, a me pare che ci siano due pesi e due interessi e ciò non ci pare né corretto né accettabile.  È per questo che noi di Libero non accoglieremo il suo appello. Dello scandalo del Monte dei Paschi vogliamo sapere tutto e credo che assieme a noi lo vogliano sapere anche molti italiani. Ai quali chiediamo di scriverci, dicendoci cosa preferiscono:  che, per il bene comune, ci si metta il bavaglio oppure che, per il bene della verità e della libertà di stampa, le cantiamo chiare su quel che è successo a Siena e dintorni. Senza riguardi né per i banchieri né per i politici, ma neppure per quelle istituzioni che l’interesse nazionale loro per prime lo hanno messo sotto i piedi. di Maurizio Belpietro