L'editoriale
Adesso Bersani non è più sicuro di vincere
di Maurizio Belpietro Più si avvicina il 24 febbraio e più la vittoria di Pier Luigi Bersani si allontana. Nel Pd erano convinti che nessuno sarebbe riuscito a rubare il successo al compagno segretario. Non Berlusconi, ormai considerato fuori gioco a causa delle grane giudiziarie. Non Monti, ritenuto un candidato di panna montata da parcheggiare in Europa. I vertici del Partito democratico erano arciconvinti che questa volta sarebbe toccato a loro e non con un premier preso in prestito dalla Dc dietro il quale nascondere la vecchia faccia comunista, ma con un vero e degno erede di Enrico Berlinguer, un funzionario d’apparato come l’ex presidente dell’Emilia Romagna. E invece, guarda un po’ che ti succede. Nel giro di un mese, quel che era certo lo è molto meno. Anzi, a giudicare da alcuni sondaggi, non solo si rischia di non avere la maggioranza in una delle due Camere, che costringerebbe Bersani a elemosinare i voti di Monti, ma c’è pure il pericolo che neppure i senatori del professore bastino a tenere in piedi un governo zoppicante. È vero, le rilevazioni prima del voto vanno sempre prese con le pinze, diffidandone nella giusta misura, perché non sempre gli intervistati dicono il vero e poi perché le persone consultate vengono scelte dall’elenco del telefono e non è detto che siano davvero rappresentative dell’elettorato. Tutto ciò premesso, è indubbio che gli esperti la pensino allo stesso modo e segnalino una tendenza. Il consenso per il Partito democratico e i suoi alleati si sta restringendo, quello per il Pdl e il centrodestra in generale sta crescendo. I sondaggisti si dividono sulla forbice che separa i due principali schieramenti. Per alcuni il distacco resta ampio, intorno ai dieci punti; per altri Bersani e Berlusconi sarebbero separati solo da un tre per cento. Una cosa è certa: la situazione è in movimento e il compagno segretario adesso teme di far la fine di Prodi, vincitore delle elezioni nel 2006 e perdente di lì a due anni, a causa dei numeri esigui su cui si reggeva la sua maggioranza. Lo show di Berlusconi da Santoro, lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena, le piccole e grandi truffe che hanno coinvolto esponenti del centrosinistra nelle ultime settimane, hanno invertito la tendenza e da qui al 24 febbraio altro potrebbe cambiare. Che le cose stiano così e che dalle parti del centrosinistra si sentano franare la terra sotto i piedi lo dimostra una frase di Pier Luigi Bersani, il quale ieri si è rivolto a Mario Monti per invitarlo a una trattativa sulla Lombardia. Essendo la regione una delle più importanti e, soprattutto, una grande elettrice di senatori, il segretario del Pd auspicherebbe il ritiro dei candidati di Scelta civica, nella speranza che gli elettori rimasti orfani degli uomini del presidente del Consiglio dirottino il proprio voto sui candidati della sinistra. Si tratterebbe di una specie di desistenza a urne quasi aperte. Una sorta di patto con cui Bersani si impegnerebbe a restituire in seguito il favore al partito di Monti. La candidatura del premier, nei piani del centrosinistra, avrebbe dovuto rubare consensi al centrodestra. Il bocconiano serviva a intercettare gli elettori moderati delusi da Berlusconi, offrendo loro una zattera che poi li avrebbe traghettati verso il Partito democratico. Non a caso il segretario del Pd ha fin dall’inizio lasciato aperta la porta, in vista di un’alleanza con Monti e la sua Scelta civica. Ma con il passare del tempo la lista è divenuta un intralcio. Bersani teme infatti che in Lombardia e altre regioni il movimento messo in piedi in quattro e quattr’otto dal presidente del Consiglio con Fini e Casini sottragga voti proprio ai suoi candidati, impedendo alla sinistra di vincere. In pratica, la trappola rischia di scattare proprio contro chi l’aveva ordita. E a quanto pare a nulla è servito schierare con Monti ex esponenti del Popolo della libertà, come ad esempio Gabriele Albertini. L’ex sindaco di Milano, un tempo presidente dell’ala più intransigente di Confindustria, secondo i sondaggisti non riuscirebbe a sottrarre a Maroni i voti sufficienti a farlo perdere e dunque la sua candidatura a governatore sarebbe solo un impiccio per il Pd. Insomma, Monti e i suoi, invece di aiutare Bersani come nelle iniziali intenzioni, rischierebbero di danneggiarlo. Di qui la richiesta di un passo indietro, nella speranza che al buco si possa mettere una pezza. Ma, come osservava giorni fa Luca Ricolfi, sociologo di sinistra più attento ai numeri che alla fede politica, c’è la possibilità che le rilevazioni di questi giorni non dicano il vero e che una parte dell’elettorato che oggi si dichiara indeciso, in realtà sappia benissimo per chi voterà, ma non intenda confessarlo. Come accadeva ai tempi della Dc, spesso i moderati preferiscono non esporsi, negando per quieto vivere le proprie intenzioni politiche. È possibile che questo accada anche oggi e una parte degli elettori di centrodestra stia ancora nel limbo. Se così fosse, il 24 di febbraio potremmo avere delle sorprese. In particolare potrebbero averle due signori che si erano già messi d’accordo per spartirsi il Paese. Ma se andasse così, la serata dello spoglio sarebbe uno spettacolo. Ve la immaginate la faccia di Bersani e di Monti?