L'editoriale
Balle e imposte: da sempre sinistra vuol dire tasse
di Maurizio Belpietro Altro che uscita dal tunnel, come promette il presidente del Consiglio in versione elettorale: secondo Bankitalia nei prossimi mesi il prodotto interno lordo calerà dell’uno per cento e altrettanto farà il numero degli occupati; giù anche i consumi, che nei primi tre trimestri dello scorso anno sono diminuiti del 4,3 per cento e nel 2013 sono attesi ancora in discesa. Tuttavia, mentre tutto sembra contrarsi, c’è un mercato in forte crescita ed è quello delle balle: più si avvicina il 24 febbraio e più i politici ne sfornano in gran quantità, sperando grazie alle panzane di guadagnare qualche voto. Le ultime che ho sentito le ha pronunciate Pier Luigi Bersani, il quale spaventato dalla rimonta di Silvio Berlusconi ieri ha attaccato a testa bassa il capo del centrodestra. Al Cavaliere che delle tasse ha fatto il perno della sua campagna elettorale, il segretario del Pd ha rimproverato di aver aumentato la pressione fiscale di ben quattro punti, lasciando credere implicitamente che con il governo Prodi il carico delle tasse fosse leggero come una piuma. Fortuna vuole che da pochi giorni nelle librerie sia reperibile un agevole libretto scritto a quattro mani dal presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti e dal direttore del quotidiano on line della categoria. In esso si fa il punto della pressione fiscale e delle spesa pubblica, attribuendo a Cesare quel che è di Cesare e cioè incremento delle imposte e delle uscite suddivisi fra i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni. Così si scopre che durante il primo governo Berlusconi è stata compiuta la «più marcata riduzione della spesa pubblica in termini reali di tutta la storia repubblicana sino al fatidico 2008» e al tempo stesso con il Cavaliere al governo – seppur per poco – «la pressione fiscale è stata più bassa tra quelle associabili a tutti i governi della seconda Repubblica». Claudio Siciliotti ed Enrico Zanetti spiegano che con il primo governo Prodi la pressione fiscale sale di quasi due punti più di quella registrata durante il governo Berlusconi e la spesa pubblica cresce dell’11,7 per cento al netto degli interessi passivi e del 6,01 in termini reali. Non va meglio con l’esecutivo che viene dopo, quello di D’Alema, che spende di più (5,66 per cento, depurato dell’inflazione 2,87) e frena un po’ la pressione fiscale, rimanendo però un punto sopra rispetto al livello a cui l’aveva condotta il Cavaliere. Con Giuliano Amato, che sostituì Baffino, le tasse calano leggermente, ma non raggiungono il periodo del 1994 e la spesa pubblica cresce. Continuerà a salire e anche di tanto nei cinque anni che verranno dopo, cioè quando torna Berlusconi (in valore assoluto più 29 e in termini reali più 16), ma le percentuali vanno spalmate sui cinque anni e soprattutto bisogna tener conto che nel 2001 c’è la prima delle più gravi crisi finanziarie degli anni Duemila, conseguente agli attentati contro le Twin towers. Nel frattempo la pressione fiscale torna al 40,64 per cento. Cambia la maggioranza, ricompare Prodi, e le tasse aumentano al 42 per cento, anzi, quasi 43 e da lì non ridiscenderanno. Nel 2008, col Cavaliere già a Palazzo Chigi, la pressione fiscale scende di uno zero virgola, ma poi, complice la crisi finanziaria, risale di un paio di punti, per poi superare con Monti il 45. Ora, visti i dati, si può criticare Berlusconi per aver lasciato correre la spesa ed aver pensato di sostenere l’economia con i soldi dello Stato, ma non per le tasse, perché quelle è il solo che ha provato ad abbassarle. Al contrario, i governi della sinistra, pur usando la leva dei soldi pubblici, le spese le hanno lasciate correre, mascherando i conti pubblici grazie alle imposte. Che poi è ciò che accadrebbe se Bersani vincesse le elezioni. Per quanto ora il segretario del Pd si sforzi di mostrare il volto simpatico, somigliando in tutto e per tutto alla parodia che di lui fa Maurizio Crozza, sotto sotto si capisce che il suo programma è imperniato essenzialmente sull’aumento della pressione fiscale. C’è da rilanciare l’economia, sostenere la crescita e far crescere l’occupazione? Basta infilare le mani in tasca agli italiani. La linea la detta la Cgil, che ha un piano da 40 miliardi, a carico delle imprese e del ceto medio. Del resto proprio ieri Susanna Camusso ha spiegato che la patrimoniale è inevitabile e una battuta è scappata pure al compagno segretario che vuole diventare compagno presidente. Interrogato Bersani non è prodigo di dettagli e si limita a dire che intende “solo” tassare di più i ricchi, aumentando l’Imu sulle case il cui valore catastale è superiore a un milione e mezzo di euro. In cambio, offre uno sgravio sulle abitazioni dei meno abbienti, che di imposta non pagano più di 400 o 500 euro. In realtà, non essendo moltissimi gli alloggi con un valore catastale di milioni, nella proposta del leader della sinistra si nasconde una revisione di tutti i valori degli immobili, per adeguarli ai prezzi di mercato. Così l’Imu diventerebbe ancora più onerosa e consentirebbe di rapinare quel po’ di risparmi che il ceto medio ha ancora da parte. Così, insieme alle bugie della campagna elettorale, le statistiche finalmente potranno registrare un altro rialzo: il solo in cui già l’Italia eccelle, ovvero l’aumento delle tasse.