L'editoriale
Il centrodestra non capisce più i suoi elettori
Pierluigi Bersani dovrebbe ringraziare tutti i giorni il Signore per avergli mandato tra i piedi un giamburrasca come Matteo Renzi. Con le sue sparate il sindaco di Firenze ha creato non pochi problemi dentro il partito, tuttavia per il segretario è stata una manna piovuta dal cielo. Non ci fossero state le primarie e le polemiche sui dirigenti da rottamare, pochi si sarebbero filati il Pd, soprattutto i progressisti non avrebbero potuto monopolizzare per giorni le prime pagine e le aperture dei tg. I confronti in tv, le interviste nei talk-show e i servizi che ogni trasmissione ha dedicato al duello fra Renzi e Bersani sono stati per il partito meglio di una campagna pubblicitaria. Linfa vitale, sfoggio di democrazia e rappresentazione di novità: un’operazione più efficace di centinaia di spot. E per di più gratis. L’effetto è stato immediato. Per giorni si è smesso di parlare dei problemi del Paese e ci si è concentrati su quelli delle primarie. Sui meccanismi di accesso al voto, sulle metafore agricole del segretario (il canarino in una mano al posto del tacchino sul tetto) e sulle staffilate dello sfidante (caro Pier Luigi, sei stato al governo 2.547 giorni). Risultato, un partito che sembrava inchiodato al 27 per cento e che neppure il karakiri del centrodestra riusciva a smuovere, improvvisamente si è rianimato. Di colpo i sondaggisti hanno rilevato che c’era vita sul Pd e la macchina inceppata cui hanno dato vita ex comunisti ed ex democristiani di sinistra ha cominciato a muoversi. Non sappiamo da dove arrivino i voti registrati dagli esperti di flussi elettorali. Forse da gente che fino a ieri manifestava il disgusto verso la politica e dichiarava di non essere intenzionata ad andare a votare. Forse da qualcuno che era deciso a disperdere il voto scegliendo altre formazioni di sinistra, più piccole e più ideologiche. È possibile anche che tra gli italiani che si dichiarano intenzionati a mettere la crocetta sul nome di Renzi o Bersani ci sia qualche possibile elettore di Grillo, pentito d’aver scelto il comico prima ancora di votare. È però molto più probabile che i sismografi dei sondaggisti abbiano rilevato la confluenza di uomini tradizionalmente orientati verso il centrodestra, i quali per la prima volta nella loro storia stanno prendendo in considerazione l’idea di votare gli eredi del Partito comunista. Fino ad oggi i blocchi destra-sinistra apparivano immutabili: per quanto gli italiani fossero delusi dalla politica il loro credo era fedele nei secoli. La mobilità fra conservatori e progressisti era cosa inimmaginabile, come se le formazioni politiche e il loro consenso fossero cristallizzati nel tempo. Ma ora qualcosa si muove. Noi stessi abbiamo ricevuto le confidenze di molte persone da sempre liberali che si sono dette pronte a votare per il sindaco di Firenze e altre addirittura che lo hanno già fatto, partecipando al primo turno delle primarie e accettando perciò di iscriversi nelle liste del centrosinistra e di condividerne il programma. Più dell’appartenenza a uno schieramento, a quanto pare è il desiderio di cambiamento che sta orientando gli elettori. Una spinta che può indurre a ripensamenti parte di quel 50 per cento di italiani che si dichiara non interessato a votare. La rottamazione, la voglia di partecipare a una competizione vera e forse anche la crisi economica stanno producendo una mutazione genetica nell’elettorato, che non spinge la gente solo alla disperazione o alla protesta, cioè che non fa solo disertare le urne o votare Grillo, ma mette in discussione le convinzioni di una vita. A fronte di tutto ciò, a fronte cioè della caduta di certezze granitiche che per qualche decennio hanno sorretto e forse condizionato il quadro politico, il Pdl che fa? A tutta prima diremmo che il partito che ha incarnato le aspirazioni liberali e conservatrici della maggioranza degli italiani, prosegue in un processo di autodistruzione che sembra destinato a condurlo se non alla sua scomparsa quanto meno a una marginalizzazione. La rappresentazione plastica di quel che sta succedendo al Popolo della Libertà la si è potuta avere giovedì a tarda ora, nel salotto di Bruno Vespa. Subito dopo il confronto fra Renzi e Bersani mandato in onda da Raiuno, nelle case degli italiani sono comparsi i volti di Daniela Santanchè, Maurizio Lupi, Mariastella Gelmini e Giorgia Meloni, quattro esponenti del centrodestra che hanno trascorso la serata a discutere dell’opportunità o meno di tenere le primarie. Una discussione surreale, un dibattito fuori dal tempo o, per meglio dire, fuori tempo massimo. Non ce l’abbiamo naturalmente con gli onorevoli radunati a Porta a porta, ma se c’era un modo per certificare un fallimento, i quattro l’altra sera l’hanno trovato. Per deludere gli italiani moderati, molto di più infatti non si poteva fare. di Maurizio Belpietro