L'editoriale

Sacrifici per tutti, ma non per i giudici

Giulio Bucchi

di Maurizio Belpietro Franco Bechis ha spiegato ieri, come meglio non si poteva, il taglio alle tasse del governo Monti. La riduzione è un contentino, un regalo di 11 euro appena per chi guadagna 15 mila euro lordi e di 21 per chi ha un reddito superiore. Si dirà: meglio 11 euro al mese nelle mie tasche piuttosto che in quelle di uno Stato spendaccione e di politici ladroni. Vero. Anzi, verissimo. Per quanto più lieve di una piuma, la riduzione del carico fiscale c’è. Peccato che quanto il governo concede con una mano se lo riprende subito dopo con l’altra. Infatti, l’aumento dell’Iva di un punto su tutti i beni salvo quelli di prima necessità vanifica lo sconto deciso dai Professori. Fatti salvi il pane, la pasta, la frutta, la verdura, il latte e i latticini, tutto costerà di più. Secondo i conti fatti dal nostro vicedirettore si arriverà a 300 euro in più a famiglia, cifra superiore a quanto si risparmierà con l’abbassamento di un punto delle aliquote Irpef sui redditi medio-bassi. Già questo basta e avanza per capire che la promessa del presidente del Consiglio di ridurre le tasse entro la fine della legislatura è una presa per i fondelli o, se preferite, uno specchietto per le allodole che vogliono cadere nella trappola elettorale del premier tecnico, il quale ha bisogno di farsi riconfermare e usa l’arma delle imposte.  Tuttavia, la fregatura è di gran lunga superiore a quella del finto sgravio fiscale, perché tra le pieghe delle norme varate l’altra sera dal Consiglio dei ministri ci sono altri provvedimenti che peseranno nelle tasche degli italiani. La delega appena messa a punto consentirà infatti al ministero dell’Economia la riduzione di molte detrazioni e deduzioni, per cui, quando la prossima primavera i contribuenti dovranno compilare la dichiarazione dei redditi, scopriranno che certe spese non potranno più essere sottratte dal conto finale che il fisco presenta ogni anno. Computer, tv, ristrutturazioni: chi comprando e investendo ha pensato di risparmiare almeno un po’ di tasse, al momento di dichiarare i propri guadagni avrà l’amara sorpresa. Che riguarda anche le spese mediche e le rate dei mutui sulla prima casa, che ora saranno soggette a un tetto massimo di 3 mila euro, mentre le deduzioni avranno una franchigia di 250 euro, vale a dire che sarà deducibile solo l’importo superiore a quella cifra. Una rimodulazione (così la chiamano i tecnici, sperando di non farsi capire dagli italiani) che alla fine avrà un saldo negativo per i contribuenti, i quali si troveranno a pagare di più. Non è tutto: tra i provvedimenti introdotti vi sono anche misure a carico delle banche e delle assicurazioni, le quali saranno soggette a bolli e prelievi. Decisione che potrebbe apparire equa, facendo pagare anche a compagnie e istituti di credito il costo del risanamento. In realtà, come ogni operatore sa, alla fine quegli oneri si scaricheranno sui consumatori, cioè su di noi assicurati o clienti allo sportello, che ci troveremo a pagare polizze più care e conti correnti caricati di qualche oscura voce al momento dell’emissione dell’estratto conto. Il salasso ancora una volta grava dunque sulle nostre spalle, come pure lo faranno i tagli alla Sanità, i quali non andranno a incidere sugli sprechi o sul personale in eccesso che staziona in corsia, bensì sulle risorse necessarie a far funzionare gli ospedali. Oltre allo svuotamento del nostro portafogli, si fa dunque concreto anche il pericolo di provare sulla nostra pelle che cosa significhino le misure di austerità del sobrio governo Monti. I contribuenti tartassati possono però godere di una notizia tranquillizzante, giunta ieri fresca fresca dalla Corte Costituzionale. La Consulta infatti ha sentenziato l’incostituzionalità delle riduzioni di stipendio ai magistrati. Come a molti dipendenti statali e a molti contribuenti, il governo Berlusconi nel maggio del 2010 aveva decurtato lo stipendio del dieci per cento sopra i 150 mila euro e del cinque oltre i 90 mila euro. Una sorta di contributo di solidarietà da parte degli italiani più ricchi. Ma ora i supremi giudici sono arrivati a mettere le cose a posto, dando ragione ai magistrati che avevano fatto ricorso contro lo scippo governativo, sostenendo di essere stati discriminati rispetto ad altri dipendenti dello Stato non soggetti al taglio. E i magistrati hanno dato ragione ai magistrati, definendo non equa la tassa sulle toghe, perché ne avrebbe violato l’autonomia e l’indipendenza. Immaginiamo quindi che il governo dovrà restituire con gli interessi il prelievo forzoso. E immaginiamo anche che nel recuperare i quattrini da destinare agli uomini che amministrano la giustizia si rivarrà sui soliti contribuenti. Tutto bene, dunque. Tutto nella regola. Stangate comprese.