L'editoriale

Unico programma: affamare la Casta

Nicoletta Orlandi Posti

di Maurizio Belpietro Mi è tornata tra le mani una copia di Libero del 20 luglio 2004. Una fotografia occupava quasi tutta la prima pagina e il titolo principale era un invito a Berlusconi: «Dai Silvio, cambia tutto». Sommario: «Ecco perché è giunto il momento di rifare la squadra». Sotto, a metà pagina, compariva un articolo dedicato alla «verità inconfessabile su Bossi». Rileggendo gli articoli mi è venuto da pensare che non è cambiato quasi niente. O meglio: è cambiato tutto. Otto anni fa il Cav. era ancora in sella, a Palazzo Chigi, e il Senatur era fuori dai giochi causa malattia. Del centrodestra facevano ancora parte Fini, Casini e Follini: tre diminutivi, ma già si capiva che con quegli alleati la Casa delle libertà non sarebbe andata da nessuna parte, se non a ramengo. Che poi è quanto è successo: passato quasi un decennio ci aggiriamo tra le macerie di un partito che ci aveva fatto sperare in un grande cambiamento, una forza politica che doveva liberarci dal cattocomunismo e invece ci ha precipitati nel fascioladrocinio.  Ma pur essendo cambiato tutto, pur non esistendo più o quasi il Popolo della libertà, la soluzione resta sempre quella che sintetizzavamo in prima pagina nel 2004: dai Silvio, cambia tutto.  Quello che serve è la rottamazione di un gruppo dirigente che nella migliore ipotesi doveva vigilare e non ha vigilato, nella peggiore ha vigilato per consentire ai ladri di agire indisturbati e poi spartirsi il bottino. Quello che è accaduto nel  Lazio,  e probabilmente in molte altre Regioni anche se con minor sguaiataggine, dimostra una sola cosa e cioè che bisogna radere al suolo il Pdl per costruire qualcosa di nuovo, un movimento che non abbia nulla a che fare con i malfattori. Non voglio dire che l’intero partito sia composto da gente di malaffare (credo anzi che la maggioranza dei militanti e dei dirigenti sia per bene) né che sia il Popolo della libertà a detenere il monopolio di corrotti e profittatori (come abbiamo dimostrato si ripartiscono equamente in ogni partito). Sta di fatto che, giunti al degrado di questi giorni, non si può più fare finta di niente e Berlusconi  sbaglia a dire, come ha fatto ieri, che il Pdl non è allo sbando. Forse non vacilleranno i suoi vertici, di certo vacillano gli elettori che gli hanno concesso fiducia negli ultimi anni. La maggior  parte è intenzionata a non recarsi alle urne alla prossima tornata elettorale e chi invece pensa di andarci medita di mettere la crocetta sul simbolo di Grillo o, se ci sarà, sul nome di Matteo Renzi, segno evidente che sono a tal punto schifati da essere pronti a votare qualsiasi cosa rappresenti un lieve cambiamento.  Che si tratti di un comico o di un furbetto conta poco, l’importante è voltare pagina. Ed è quello che il Cavaliere deve fare se non vuole concludere la sua storia politica nel peggiore dei modi. Chiuda un capitolo del libro avventuroso del centrodestra e ne apra un altro. Sento dire che tra i suoi progetti ci sarebbe non più un partito ma una federazione, ovvero tanti gruppi, tutti con un loro capetto. Non credo sia la soluzione. Ammesso e non concesso che in questo modo si riuscisse a vincere, sarebbe peggio di prima. Se fino a ieri si dovevano tenere a bada tre diminuitivi più Bossi, dopo toccherebbe soddisfare gli appetiti di poltrone di una mezza dozzina di aspiranti leader, con quel che ne consegue in fatto di sottobosco. No, meglio lasciar perdere. La rifondazione liberale non può avvenire sommando le ambizioni di carriera di qualche gerarca. Se si intende riconquistare la stima di chi votava centrodestra bisogna partire da gesti concreti, facendo un’inversione a U e spiego subito che cosa intendo dire.  Ieri Berlusconi ha commentato lo scandalo del Lazio dicendo che bisogna abolire il finanziamento pubblico. Benvenuto, avendolo Libero scritto più volte mi fa piacere che ora il leader del centrodestra sia venuto dalla nostra parte.  Tuttavia prosciugare la fonte di spreco a cui si abbeverano i trafficanti di voti non basta. Bisogna fare di più. Oggi il nostro giornale pubblica le cifre di uno studio della Uil sui costi della politica. I dati mostrano che 1,1 milioni di persone in Italia vivono di politica. Parlamentari, ministri, sottosegretari, presidenti, assessori, consiglieri: un esercito che ogni anno costa, direttamente o indirettamente,  23,9 miliardi, poco meno del 12 per cento del gettito Irpef, ovvero di quanto pagano di tasse gli italiani sul proprio reddito, l’equivalente di una manovra. Se si tagliasse domani anche solo il venti per cento della spesa della politica, se si mandasse a lavorare anche solo una su cinque di quelle 1,1 milioni di persone che campano facendo i parlamentari, ministri, sottosegretari, presidenti, assessori e consiglieri, si potrebbero ridurre sensibilmente le tasse e – secondo la Uil – si potrebbero aumentare le tredicesime di 400 euro netti. Ecco, questo è un programma liberale e se Berlusconi intende rifondare il centrodestra, da qui deve ripartire. Licenzi un po’ di gente che vive a carico dei contribuenti: vedrà, sarà l’unica volta che l’articolo 18 verrà applaudito da tutti gli italiani. Anzi, quasi quasi ne farei uno slogan: i licenziamenti che ci aiutano a crescere.