L'editoriale

Il Cav può ancora inciderema gli serve gente seria

Andrea Tempestini

Temo che il mio amico Giampiero Mughini abbia preso un po’ troppo sul serio le parole di Berlusconi dell’altro ieri. Il Cavaliere, intervenendo a Fiuggi, si è lasciato sfuggire la possibilità di un suo ritorno sulla scena. «Il leader sarò ancora io», ha detto alla platea di giovani, cercando di alzarne il morale, e tutti hanno pensato che intendesse rifare il premier per la quarta volta. Ora, dell’uomo che ha fondato in poche settimane il centrodestra e lo ha fatto durare vent’anni nonostante gli agguati della sinistra e dei magistrati, si può dire tutto, ma non che sia fesso. Silvio lo si può definire un megalomane, un egocentrico, uno che ha un alto concetto di sé (per altro mi pare con qualche risultato, personale e politico), ma scemo di certo no.  Berlusconi sa prima degli altri che a settembre compirà 76 anni e, per quanto si diverta a ritenersi immortale  - ma soprattutto a farlo credere - e giochi a fare il giovanotto corteggiando tutte le donne che gli capitano sotto tiro, non gli sfugge che la sua stagione a Palazzo Chigi sia definitivamente conclusa. Quel che poteva fare lo ha fatto. Alcuni risultati li ha ottenuti, altri no. Ha fatto cose grandi e anche grandi errori e anch’io come Giampiero credo che, una volta passata la furia delle polemiche, i libri di storia saranno più onesti di certi editorialisti e di alcuni magistrati dei giorni nostri. Da Mughini mi divide però l’idea che il Cavaliere, a 76 anni, sia pronto per i giardinetti e cioè che debba scansarsi per cedere il passo a qualche nuovo arrivo. Innanzitutto perché non vedo tutto questo nuovo che avanza e poi perché il giovanotto che ad oggi ha più peso in Italia è un ex comunista che tra pochi giorni compirà 87 anni ed era già in pista ai tempi di Stalin e di Breznev. Non solo: per quanto acciaccato e danneggiato dalle inchieste giudiziarie e da quelle che in vent’anni i giornali gli hanno sparato addosso, Berlusconi rimane ugualmente l’unico politico con un consenso personale sufficiente a tenere insieme un partito. Non ha il 51 per cento dei votanti, come vorrebbe  per poter decidere di testa sua senza dover mediare ogni volta con gli alleati. E forse fatica ad arrivare al venti per cento. Ma rimane comunque l’unico a poter tornare in Parlamento anche da solo. La rifondazione del centrodestra non può dunque prescindere da lui e dal suo appoggio: una parte di elettorato moderato non capirebbe il suo pensionamento o anche solo un suo passo indietro. Esiste però un’altra parte del centrodestra che al contrario non capirebbe - e, cosa più grave, non voterebbe - se tutto restasse come prima. Se cioè il Pdl, o come diavolo si chiamerà la casa dei moderati, non trovasse un nuovo programma e soprattutto un nuovo candidato premier in grado di riportare al governo le idee di riforma dello Stato e di modernizzazione del Paese che servono all’Italia per crescere.  Personalmente ho più volte sollecitato la classe dirigente del Popolo della libertà a rivoluzionare tutto. C’è bisogno di un gran cambiamento, di  mettere insieme le esperienze passate con quelle nuove. Non basta una riverniciata alle vecchie idee, agli slogan passati e nemmeno è sufficiente una federazione di partitini guidata dalle vecchie glorie di quello che fu il Pdl, rimesse in pista con sigle e operazioni di marketing: i duri e puri, i tacchi a spillo, i rossi riverniciati di verde. Se Berlusconi e Angelino Alfano vogliono riportare il centrodestra alla vittoria, se non vogliono regalare l’Italia a Grillo o a Monti devono lavorare insieme, coinvolgere la parte sana di questo Paese - docenti, imprenditori e intellettuali - e dar loro uno schieramento proiettato nel futuro. Serve fantasia, non le fantasie di qualche vecchia volpe della politica che crede di aver trovato la scorciatoia per rimanere a galla. Berlusconi si liberi dei fattucchieri. Alfano si circondi di gente seria. Dopo di che diano la spallata al governo e ci dicano dove vogliono andare e chi sarà a guidare la macchina. Il tempo della ricreazione è finito. E dopo i professori non vorremmo che arrivassero i bidelli. di Maurizio Belpietro