L'editoriale
Morto un prof se ne fa un altro
Avviso ai lettori: non fatevi ingannare dalle notizie di questi giorni, dai patti notturni a Palazzo Chigi per rinsaldare la maggioranza, dai voti di fiducia alla Camera sulla legge anti corruzione e dai propositi di una rapida approvazione della riforma del mercato del lavoro. Nonostante il tentativo di mostrare di essere saldo in sella, il governo era e resta precario. Talmente precario da non sapere se e quanto durerà. Il primo a esserne consapevole è lo stesso presidente del Consiglio, che l’altra sera ad Alfano, Casini e Bersani è apparso angosciato e preoccupato. Al punto da aver lasciato intravedere ai suoi ospiti perfino una lacrima fra le ciglia. In sette mesi, la tempra da bocconiano è stata messa a dura prova e soprattutto lo sono state le sue certezze economiche. Non è bastato il suo arrivo a tranquillizzare i mercati né a farci recuperare credibilità internazionale: lo spread è ritornato a livelli berlusconiani e ora può permettersi di darci lezione perfino un Paese minuscolo e politicamente irrilevante come l’Austria. Che la situazione sia fuori controllo e, quel che è peggio, che lo siano alcuni dei ministri chiave del gabinetto Monti, come ad esempio Elsa Fornero la quale ieri è riuscita a mettere d’accordo Lega e Idv, è ormai sotto gli occhi di tutti, in particolare degli azionisti di maggioranza del governo. E tra questi non vanno annoverati solo i leader convocati nella notte a Palazzo Chigi, ma anche il capo dello stato, il quale dell’esecutivo tecnico è il pediatra dopo esserne stato la levatrice. Come direbbero i comunicati ufficiali: le segreterie dei partiti e la presidenza della Repubblica seguono le evoluzioni della crisi con grande attenzione. Inutile dire che in queste ore si fanno tutti una domanda: reggerà Monti? E, se regge, fino a quando? Quesito scontato, che però ne impone immediatamente un altro: ma se cade, che si fa? Chi ci mettiamo al suo posto? In queste ore di confusione e preoccupazione è dunque un rincorrersi di ipotesi. Tutti alla ricerca di una exit strategy da quella che in principio era sembrata un’idea geniale – l’Italia affidata ai tecnici, i quali avrebbero fatto ciò che i politici non sanno fare – ma che ora, più passa il tempo e sale lo spread, appare solo quel che era, ovvero catastrofica. Nessuno ha le idee chiare sul da farsi. Non i segretari, i quali sono terrorizzati al pensiero di doversi assumere la paternità di una crisi finanziaria, non il capo dello Stato, il quale sparata la sua cartuccia – il governo dei professori – ora si è fatto più cauto e non ha intenzioni di farsi venire altre pensate. Nella confusione si fanno però avanti strane ipotesi, per ora solo abbozzate, ma che in caso di crisi potrebbero tradursi in realtà. Le ipotesi sono tre. La prima riparte dallo stesso Monti e prevede che in caso di dimissioni del presidente del consiglio l’incarico gli si riaffidato. Il premier salirebbe al Quirinale e ne discenderebbe con l’incarico di formare un nuovo governo. Questa volta però senza i tecnici, ma con dentro i politici. Il vantaggio di una simile decisione consisterebbe nel non dover cambiare cavallo: ai mercati si ripresenterebbe la faccia triste del professore, ma in compenso l’esecutivo sarebbe come d’incanto liberato dai pasticcioni al potere. Via Elsa Fornero, a casa Giarda e così via. L’unico punto debole della proposta è lo stesso Monti, che essendo molto provato non è detto faccia i salti di gioia per rimanere ed essere commissariato dai politici. Nel caso questa exit strategy non funzionasse, a sinistra ne hanno già pensata un’altra e, tenetevi forte, passa per Romano Prodi. Sì, se Monti gettasse la spugna, nel Pd c’è chi immagina un ritorno del professor Mortadella, il quale dopo essere stato impallinato nel 2008 fa il pensionato di lusso, dividendo il tempo tra una conferenza e una consulenza. Prodi non vede l’ora di essere richiamato e farebbe carte false pur di essere riaccolto come salvatore della patria, alla guida di un esecutivo di salute nazionale. Infine, l’ultima delle idee bislacche è di affidarsi al Dottor Sottile, quel Giuliano Amato indimenticato premier sul finire della prima Repubblica, che in nome dell’interesse nazionale svaligiò di notte i conti correnti degli italiani. L’ex consigliere di Craxi, poi approdato nel Pds e divenuto di nuovo presidente del consiglio nel 2000 in sostituzione di Massimo D’Alema, è da sempre considerato una riserva della Repubblica e ha un vantaggio rispetto agli altri: piace al capo dello stato. Insomma, detto in poche parole, se cade il governo, rischiamo di finire dalla padella alla brace. Dal professor Fallimonti al professor Mortadella e per farci digerire tutto ci daranno pure l’Amaro Giuliano. Aiuto. di Maurizio Belpietro