editoriale
Se Bersani sposa i gay
La campagna elettorale è davvero cominciata. Prova ne sia che ieri Pier Luigi Bersani è andato a caccia di voti, rivolgendosi alle coppie omosessuali, ai divorziati e perfino a chi invoca il diritto a scegliersi una dolce fine, giro di parole dietro cui da tempo si maschera il dibattito sull’eutanasia. Il leader del Pd, in un colpo solo, ha insomma messo insieme tutti i temi etici che pesano come un macigno sulla politica italiana e che fino ad oggi nessun partito si è preoccupato di rimuovere. Certo non la sinistra, che pure ha governato in questi anni, ma quando si è trattato di affrontare temi complessi come quello dei rapporti fra coppie omosessuali o come il testamento biologico ha preferito fare altro, evitando le divisioni interne. Naturalmente Bersani sa perfettamente che anche stavolta non avrà la forza né il tempo per far votare delle leggi che risolvano le questioni elencate, ma come ogni politico che si rispetti ha provato a ingraziarsi quella parte di elettorato sensibile alla materia. Complimentandosi con gli organizzatori del gay pride, il segretario del Partito democratico è stato perciò prodigo di promesse, giurando agli omosessuali più che a se stesso che rimetterà al centro del dibattito politico la discussione sul tema dei diritti civili delle persone. «È inaccettabile che in Italia non sia ancora stata introdotta una legge che faccia uscire dal Far West le convivenze stabili tra persone dello stesso sesso, conferendo loro dignità sociale e presidio giuridico», ha dichiarato. Premesso che personalmente non considero un cittadino di serie B chi ha orientamenti sessuali diversi dai miei e che anch’io credo si debba arrivare a una qualche forma giuridica che tuteli i diritti delle coppie gay, mi permetto però di ricordare al compagno segretario che fine fece la proposta formulata nel passato da una parte del suo partito. Regnante Prodi, alcuni esponenti della sinistra - tra i quali se non sbaglio l’attuale ministro della Salute Renato Balduzzi - si inventarono i Dico, ovvero i diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi. Il disegno di legge fu firmato da due ministri, Rosy Bindi e Barbara Pollastrini, ma non arrivò mai all’approvazione. Un po’ per l’opposizione della Chiesa, che lo bocciò per bocca del presidente della Cei, Angelo Bagnasco, e un po’ perché una parte del Pd con a capo Giuseppe Fioroni lavorò per affossarlo. Dunque il Bersani che oggi sposa i gay dimentica che se in Italia «non c’è una legge che faccia uscire dal Far West le convivenze omosessuali» è anche perché il suo partito alla fine non seppe farla. Ma come detto, il segretario del Pd non si è occupato solo delle unioni fra persone dello stesso sesso, ma ha dispensato promesse anche a chi è in attesa di divorzio breve e perfino a quelle persone che reclamano un testamento biologico che consenta a loro o ai loro familiari di scegliere il momento in cui staccare la spina. Sull’argomento, come ovvio, ci sono opinioni diverse e fin dal caso di Eluana Englaro, la giovane sopravvissuta per vent’anni in coma, l’Italia è divisa in due partiti: chi è favorevole al diritto di scegliersi l’ora e il modo in cui morire e chi pensa che invece la vita venga prima di tutto e lo Stato non debba partecipare a queste scelte, anzi debba combattere ogni scorciatoia che apra la strada all’eutanasia. Non voglio qui affrontare il tema complesso del diritto alla vita e di quello alla morte: l’ho fatto in altre occasioni e penso che prima o poi ci sarà il tempo per riprendere gli argomenti. Voglio solo spendere due parole su una questione ed è quella della facilità con cui i politici intervengono su argomenti complessi quando sono in campagna elettorale. Andare a caccia di voti è legittimo, raccontare balle un po’ meno. Ma secondo voi, un Parlamento commissariato, che non riesce nemmeno a votare uno straccio di riforma costituzionale, è in grado di intervenire e votare una legge che sfiori il matrimonio tra gay o il testamento biologico? È pensabile che in una legislatura che volge al termine ci sia spazio per varare delle norme che dividerebbero non la destra e la sinistra, ma gli stessi partiti, lacerandoli dall’interno? La risposta è ovvia: no. Da qui al 2013 non ci sarà nessuna approvazione di una legge che tuteli i diritti delle coppie gay né di un provvedimento che accorci i tempi del divorzio. Ma a Bersani non interessa avere una legge: si accontenta di prometterla, sperando che qualcuno gli creda. A questo proposito mi permetto però di dare un suggerimento al leader del Pd. Qualcuno prima di lui ha cavalcato questi temi: invece di preoccuparsi dell’economia che andava a rotoli, delle riforme per far crescere il Paese, José Luis Zapatero preferì andare a caccia di voti con i matrimoni gay e una serie di altre leggi sui «diritti delle persone». Guardando i giornali di questi giorni si sa come è andata a finire: la Spagna è sull’orlo della bancarotta e senza l’aiuto dell’Europa sarebbe già fallita. Bersani non cerchi dunque scorciatoie, non provi a guadagnar consensi parlando d’altro. Se vuole candidarsi a governare questo Paese - così come pare intenzionato a fare presentandosi alle primarie del suo partito - dica come intende far crescere l’Italia, quali sarebbero le sue misure a favore delle imprese e come ridurrebbe la spesa pubblica, in che modo ridisegnerebbe la struttura dello Stato e se è d’accordo a modernizzare le istituzioni. Questi sono i temi che abbiamo davanti, il resto può attendere. Non vorremmo infatti che, come il leader spagnolo, occupandosi di nozze gay Bersani in versione premier finisca per celebrare il funerale di una nazione. di Maurizio Belpietro