Il Patto di stabilità Ue fa tremare mezzo continente
Dopo aver messo in difficoltà migliaia di comuni italiani, ora il Patto di Stabilità sulla tenuta dei conti pubblici nazionali in fase di realizzazione a Bruxelles rischia di far deragliare la stabilità stessa di mezza Europa. Per mettere al sicuro l'Europa dal pericolo di un'altra "Grecia" o di un'altra crisi economica internazionale, infatti, l'Unione Europea sta perfezionando delle misure severissime per dare un giro di vite ai debiti pubblici dei 27 e per poter dar vita così a una fase di austerity e sostenibilità dei bilanci. Lacrime e sangue - In sostanza le misure previste dal nuovo patto, e caldeggiate da Germania, Olanda, Svezia, Finlandia e dalla stessa Bce, sono ineludibili. Ogni Paese dovrà far scendere il proprio deficit sotto il 3% del Pil. Inoltre il debito degli Stati membri dovrà tornare al più presto al di sotto del 60%, sempre facendo riferimento al Prodotto Interno Lordo. Per farcela ogni Stato sarà chiamato a ridurlo di un ventesimo l'anno. Qualora questo scenario venisse confermato, per l'Italia si profilerebbe una situazione pesantissima. Il nostro deficit, infatti, è del 5,2% (in pratica bisognerebbe abbatterlo del 40%), mentre per portare il rapporto tra il debito e il Pil al 60% (ora è al 118%) sarebbe necessaria una riduzione di oltre 2 punti all'anno. Ma nemmeno gli altri Paesi stanno meglio, tanto che le rimostranze di Tremonti sono state accolte dai colleghi francesi, spagnoli, belgi, slovacchi, portoghesi e greci. Sanzioni - Ad appesantire la situazione, ai salati piani di rientro che sarebbero imposti arrivano anche delle sanzioni pesantissime per gli inadempienti. Ai Paesi colpiti da procedura d'infrazione verrà imposto un tetto alla spesa, nettamente inferiore alla crescita annuale del Pil. Inoltre i tedeschi insistono sull'ipotesi di togliere il diritto di voto per i paesi recidivi nel violare il Patto. A far più paura, però, è il deposito fruttifero per chi sfora. Chi avrà un deficit superiore al 3%, dovrà versare in via cautelativa una somma pari allo 0,2% del Pil, che potrà poi essere detratta dalla quota di fondi comunitari. Tale somma, qualora dovesse sforare il 3%, sarà definitivamente trattenuta. Contrari - Anche oggi nel corso della quinta task force per allestire la riforma dei conti pubblici, l'Italia ha espresso la sua contrarietà al pacchetto normativo. Secondo il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, infatti, "l'Italia dovrebbe essere premiata, non punita: è il paese che ha subito la crisi senza averne determinate le cause". Il presidente dell'associazione delle banche, infatti, ha difeso la stabilità dei conti nostrani. "Non tutti hanno una situazione uguale: noi abbiamo un elevato debito pubblico ma quello privato è basso e ci ha aiutati nel momento della crisi". Nonostante le parole di Mussari e di tanti altri colleghi, appare difficile che giovedì l'Unione Europea sposi questa tesi. Se ad aver la meglio sarà la linea intransigente della Germania, la calcolatrice di Giulio Tremonti dovrà necessariamente riaccendersi. E allora sì che saranno necessarie scelte impopolari.