La letterina di Obama
E Obama prese carta e penna. In attesa di incontrare i leader del G20 la prossima settimana a Toronto (26-27 giugno), il presidente americano affida al Washington Post le sue speranze in vista di un importante meeting il cui obiettivo sarà quello di ribadire i propositi, per molti versi disattesi, di Pittsburgh. Una lunga lettera in cui il titolare della Casa Bianca si sfoga, spera, ma si prende anche delle responsabilità che molti non esiteranno a definire utopistiche. Impegni – “La sostenibilità delle finanze pubbliche, il dimezzamento entro il 2013 il deficit di bilancio che abbiamo ereditato e il ripristino de rapporto deficit/Pil al 3% entro il 2015”. Questi gli impegni di Obama, il quale ha anche promesso di fare tutto il possibile per “portare avanti misure a sostegno della ripresa della domanda privata e di restituire i disoccupati al lavoro”. Tuttavia le situazioni per un tale rilancio devono scaturire da input positivi provenienti dall’economia mondiale. Attacco alla Cina – In questo senso il colosso che deve “aprirsi al mondo” è la Cina, chiamata a dare valore alla sua moneta per favorire le importazioni, rallentando quelle esportazioni che stanno penalizzando non poche economie nazionali. Obama infatti sprona nuovamente la Cina a rivalutare lo yuan e a ridurre il peso delle esportazioni nella sua economia. “Voglio sottolineare che i tassi di cambio orientati al mercato sono essenziali alla globale vitalità economica”, scrive appunto Obama. Tuttavia appare difficile che tale condizione si realizzi, visto che il presidente Hu Jintao ha fatto sapere di non avere intenzione di parlare dei tassi di cambio al G-20. Go Europa – “Tagliare significa azzoppare la ripresa”. Questo in sintesi l’Obama pensiero rivolto al Vecchio Continente. Sulle manovre nazionali rese necessarie dal tracollo greco, infatti, il presidente USA dice: “Un forte recupero dell'economia globale deve essere costruito su una equilibrata crescita della domanda. In tal senso i tagli rischiano di frenare l'economia”. Insomma serve un shock internazionale per smuovere la situazione stagnante. Viste le condizioni poste dal presidente Obama, scommettiamo che a Toronto si assisterà a un’altra fumata nera?