Fine dell'illusione

I big del cibo mollano la carne vegetale

Attilio Barbieri

Il green deal dimostra i suoi limiti (enormi) anche a tavola. Dopo l’ubriacatura per le alternative vegetali alla carne vera, alimentate dalle potenti lobby che puntavano a influenzare le decisioni della Commissione europea, il mercato sta facendo giustizia. Al punto che per la maggior parte dei produttori del settore si profila un disastro annunciato ma irrevocabile.

Non a caso due colossi dell’alimentare, Unilever e Nestlé stanno cercando di disimpegnarsi da un business in perdita. La multinazionale britannica ha messo in vendita il marchio The Vegetarian Butcher, acquisito nel 2018, mentre il colosso svizzero si libererebbe volentieri di Garden Gourmet. Stando alle indiscrezioni rimbalzate sui media specializzati negli ultimi mesi, «la controllata Unilever genera appena 50 milioni di euro di ricavi annuali e chiude regolarmente i bilanci in perdita», mentre la gemella controllata da Unilever andrebbe ancora peggio».

D’altronde non si tratta di casi isolati. Anzi: i colossi del settore sono alle prese con problemi di sopravvivenza. Come testimonia la parabola finanziaria di Beyond Meat, nata nel 2009 a El Segundo, in California, per la quale più di un analista finanziario aveva previsto un futuro radioso.

Non è stato così, come testimonia inequivocabilmente l’andamento del titolo, quotato al Nasdaq dei tecnologici. Negli ultimi cinque anni la quotazione è letteralmente precipitata: -96,5%. E dal massimo storico fatto segnare nel maggio 2020 a 197,50 dollari, il titolo ha lasciato sul terreno il 98,3%.

Fra gli analisti americani c’è chi parla di «delisting virtuale», ricordando che la sentenza favorevole della Corte Ue che ha bocciato la legge francese sul divieto di utilizzare termini come “burger” o “hamburger”, rischia di essere una vittoria di Pirro. A decretare l’insuccesso della carne vegetale non è la denominazione di vendita, ma il prezzo elevato e la diffidenza dei consumatori verso i cibi ultratrasformati.

Ma le vendite di veg-burger non sono problematiche soltanto nei supermercati. Dopo le fanfare che avevano celebrato lo sbarco della finta carne nei fast food la realtà: nessuno la vuole, al punto che il presidente di McDonald’s Usa, Joe Erlinger, decise di depennarla dal menu.

«Gli americani non cercano il McPlant o altre proteine a base vegetale», sentenziò nel luglio scorso, sancendo un insuccesso epocale e largamente annunciato. Di fronte a un flop che appare sempre più irrevocabile, si è affievolita anche la campagna di demonizzazione della vera carne, su cui si basava bona parte della scommessa di mercato dei veg burger. Anche perché i consumatori, negli Stati Uniti come in Europa, si sono dimostrati molto meno disposti ad accreditare la superiore salubrità di questi cibi rispetto a quelli che imitano. «La percezione che questi prodotti siano ultra-processati e che potrebbero non essere così sani o nutrienti come sembrano è stato un fattore che ha contribuito al declino del mercato», afferma alla Reuters l'analista di Vontobel Jean-Philippe Bertschy. Intanto la concorrente storica di Beyond Meat, vale a dire Impossible Food, ha rinunciato a lanciare un aumento di capitale: secondo le banche d’affari interpellate, l’operazione rischiava di rivelarsi un fallimento totale. Con danni d’immagine incalcolabili.