
Auto elettrica? Ecco la prima vittima della crisi: il modello "sospeso"

«Piccole ed elettriche, faranno fuori le city car». Questo il mantra che ha accompagnato il lancio dei veicoli minuscoli con quattro ruote rigorosamente elettrici. La rivoluzione, però, a quanto pare non è decollata e ci sono già le prime vittime. Delle minicar, i quadricicli, che avrebbero dovuto invadere le nostre città spalancando le porte alla svolta green, resta sul campo di battaglia, al momento esamine, la Microlino. La macchinetta che si ispira all’iconica Isetta degli anni Cinquanta fino ad aprile non sarà più prodotta. L’azienda svizzera che ha scelto il nostro Paese come punto principale di produzione, ha annunciato la sospensione dell’assemblaggio dei modelli. La causa, secondo quanto fatto sapere dalla proprietà, sarebbe la mancanza delle componenti. Ma dando uno sguardo al mercato le cose sono un pochino diverse. Partiamo dalla produzione: dai 25 modelli giornalieri si è passati ai 6-7, una quota davvero bassa per reggere il mercato. E a quanto pare anche sul fronte aziendale la forza lavoro, secondo indiscrezioni, si sarebbe ridotta da 100 a 67 dipendenti. «Alterniamo già da un paio di mesi settimane di produzione a settimane di pausa a seconda della situazione per non avere stock di invenduto», hanno fatto sapere gli elvetici. E quella parolina «invenduto» è da tenere d’occhio.
La Microlino infatti è un quadriciclo che si innesta nella fascia alta, premium, del segmento delle microcar e ha un prezzo piuttosto elevato. Per la versione Lite (si può guidare già dai 14 anni) il costo è di 17.900 euro, il modello omologato come quadriciclo pesante costa quasi 20.000 euro. Il confronto non regge con i prezzi ad esempio di Citroen Ami (da 5.731 euro con incentivi) o della Fiat Topolino (da 7.500 euro con gli ecoincentivi) che viaggiano sotto i 10.000 euro. Lo stop alla produzione alla Microlino di fatto apre una riflessione su questo segmento di auto che nelle città sempre più inginocchiate ai diktat dell’elettrico avrebbero dovuto spianare proprio le city car che conosciamo, il segmento più basso, in ordine di grandezza e di allestimento, delle varie case automobilistiche. Il settore dei quadricicli è in crescita ma non c’è stato il boom atteso dai produttori. Le vendite hanno fatto riscontrare, come nel caso di Topolino e Ami, una crescita del 25 per cento. Ma stiamo parlando di circa 20.000 unità vendute sul mercato italiano e di circa 40.000 in totale su tutto il territorio europeo. E la sospensione della produzione del modello “luxury” di questo segmento delle microcar preoccupa e non poco anche i sindacati che tengono d’occhio la situazione nello stabilimento torinese.
L’azienda che produce la Microlino nelle scorse settimane ha anche puntato il dito contro Bruxelles accusata di mettere sul piatto più incentivi per i Suv elettrici rispetto a quelli previsti per le mini-car: «I Suv elettrici mastodontici con batterie sovradimensionate dominano il mercato e ricevono sussidi, mentre i piccoli veicoli elettrici efficienti vengono ignorati», aveva fatto sapere la proprietà. Insomma, piccolo è bello. Ma anche troppo costoso. E forse sta anche lì il motivo del poco appeal sul mercato di questa macchinina chic. Il flop della Microlino suona come un campanello d’allarme per le sorelline che hanno un’autonomia di 75km con una ricarica. Per utilizzarla a pieno regime serve tenerla attaccata a una Schuko integrata per almeno 4 ore. Forse un po’ troppo.
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Non siamo ancora davanti a un cambio di passo nella rivoluzione urbana che vuole ammazzare il motore termico. Secondo i dati delle vendite del 2024, il segmento A, quello che è nel mirino delle microcar, ha venduto solo in Italia più di 150.000 unità tenendo conto soltanto dei modelli più venduti come ad esempio la Pandina, la Fiat 500, la Toyota Aygo X, la Hyundai I10 e la Kia Picanto. Una fetta di mercato molto più ampia delle macchinette elettriche. Solo una piccolina, storicamente, ha avuto un enorme successo sul mercato: la Smart, la biposto che è diventata un must per chi cercava lo stile cool in città. Ma questa è un’altra storia...
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