Il racconto

Auto, la scarsa trasparenza nel prezzo dietro al crollo delle vendite

Marco Patricelli

Per dimostrare che anche la matematica è un’opinione, provate ad acquistare l’automobile, per di più in un periodo di crisi nera che attanaglia l’intero comparto piagato dalla follia-utopia dell’elettrico e il crollo verticale (a due cifre) delle vendite. Una semplice legge dell’economia sulla domanda e sull’offerta sembrerebbe suggerire che questo è il momento giusto per cambiare, bombardati come siamo da spot in tv e sul web e paginate sui giornali con offerte a raffica e mirabolanti megasconti. La cifra che rappresenta il prezzo è sparata con una quasi impercettibile piccola stellina a corredo. Che però non è la promessa di un’occasione stellare da non perdere ma il richiamo appunto ai microcaratteri del sottopancia che in tv appare e scompare per non darti il tempo di leggerlo: se li vai a ingrandire e li leggi, annullano ogni abbaglio di affare.

Sono passati forse per sempre i tempi in cui alle concessionarie ti guardavano come un poveraccio se azzardavi a chiedere a voce bassa la rateizzazione: oggi te la impongono in mille modi ma con uguale sostanza al ritmo di Tan e di Taeg, che sono le percentuali di interesse frutto di diaboliche formule matematiche che alla fine sforano disinvoltamente le due cifre (cercare per credere). Quanto all’usato, finiti pure i tempi in cui se non lo mettevi sul piatto della permuta ti facevano subito uno sconto secco, perché ieri era una rogna e oggi invece no. Se infatti la tua auto è troppo vecchia paga Pantalone con la rottamazione in nome del new deal verde, se non la è ecco qui il doppio meccanismo consegnato nero su bianco a un libretto perverso, in cui il valore è espresso in due modi ovviamente sempre sfavorevoli all’automobilista: se vende alla concessionaria è deprezzato, ma se compra è incrementato. Parlare di pagamento in contanti (con bonifico, perché l’assegno è preistorico) poi, suscita un moto di orrore nelle concessionarie ipertecnologiche di design con beneaugurante caffettino compreso e dépliant scomparsi perché obsoleti.

 



Anche lì i geni della finanza creativa si sono applicati: paghi un po’ subito, diluisci un po’ a rate di almeno 3 anni, poi ti arriva un popò di botta (la maxirata) che ti fa pensare seriamente se tenere la vettura o fare un altro giro di valzer. A farti sciogliere l’arcano, naturalmente, la premessa iniziale che il prezzo invogliante visto in tv o sul web o sui giornali, non vale senza il finanziamento che ti fornisce la casa automobilistica chiavi in mano assieme al desiderio o alla necessità a quattro ruote. E non vale, naturalmente, se non prendi la pronta consegna che praticamente non coincide giammai con il prezzo base, e neppure se non ti fai piacere l’unica tinta di serie, che solitamente è un colore improponibile e improbabile da scansare come esplicito marchio d’infamia del vorrei ma non posso. Una volta le sole tinte metallizzate, novità tecnologica e subito status symbol, erano pagate a parte con gli optional, e se volevi un’auto rossa, bianca, blu, verde, non c’erano problemi di listino. Ma nessuno, nell’era della virtualità, poteva immaginare l’invenzione di prezzi virtuali per automobili che non esistono.

Provate ad andare in concessionaria con in tasca la cifra reclamizzata pretendendo di perfezionare il contratto sbandierato nell’offerta al pubblico. Vi diranno che l’auto sognata appartiene proprio al mondo dei sogni. Ma se la vuoi, te la prendi nuda e cruda (carrozzeria di colore standard, motore e quattro ruote) con un lieve anticipo e un piccolo finanziamento a mini rate quasi inavvertibili, poi alla fine si potrà persino restituirla senza pagare l’ultimo importo. Ti fai due conti con la vecchia penna e scopri che le auto che non si vendono come una volta, che costano tanto e per le quali vengono richiesti contributi statali, tornano magicamente al prezzo originario su cui era stata disegnata l’offerta. Un affarone, insomma. Ma per chi?
Nel dubbio meglio tenersi l’usato. Almeno è sicuro e si sa quel che vale.