Peggiora la crisi
Settore auto, ecco quanto costa adesso un'utilitaria: la cifra choc
Giù le vendite, su i prezzi. La legge della domanda e dell’offerta nel libero mercato risale alla fine dell’Ottocento ed è forse la nozione di economia più conosciuta, anche da chi ha pochi o zero rudimenti della materia. La quantità richiesta di un bene è inversamente proporzionale al suo prezzo: più è alto, minore sarà la domanda. L’offerta, al contrario, aumenta con l’aumentare del prezzo. Ebbene, volete sapere quello che è successo nell’auto? Dal pre-Covid ad oggi le vendite in Italia sono crollate del 18%. Si potrebbe pensare, seguendo le leggi dell’economia, che per comprarsi una macchina ormai bastino pochi spicci. Ed ecco la sorpresa. Prima del Covid il prezzo medio dell’auto era di 21mila euro. Adesso, tenetevi forte, è balzato a 30mila euro. Per avere un’idea di cosa significhi giova ricordare che il reddito medio in Italia è poco sotto i 22mila euro. Il che significa che per gran parte della popolazione acquistare un veicolo significa impegnare un anno e mezzo del proprio stipendio.
Per capire meglio cosa sia accaduto bisogna prendere in esame anche un altro dato. Secondo le prime stime del Centro Studi Fleet&Mobility (che calcola anche i prezzi delle auto) riportate ieri dal Sole 24 Ore, il 2024 si è chiuso per il settore italiano dell’auto con un fatturato record di oltre 47 miliardi di euro. Il che non solo stride con il -0,5% delle immatricolazioni registrate quest’anno rispetto al 2023, ma risulta del tutto folle rispetto a quel -18% che ci separa dall’era pre-Covid. Il fenomeno può sembrare inspiegabile, e forse lo sarebbe senza considerare comportamenti che poco hanno a che fare con la logica, sia sul terreno politico, sia su quello industriale.
L’impennata dei prezzi che ha camminato di pari passo con il crollo delle vendite è infatti il frutto di un doppio suicidio. Il primo è stato deciso a Bruxelles, tra i festeggiamenti del Parlamento e il giubilo degli Stati che fino a poco fa dettavano legge. Procedere a testa bassa sullo stop ai motori endotermici dal 2035, prevedendo lungo il cammino uno serie di stangate per le case automobilistiche poco solerti nel compiere la rivoluzione elettrica, è stato l’inizio della fine. Una fine che ora mette paura anche alla Germania, in prima fila nello spingere la transizione ecologica e ora con le mani nei capelli per la drammatica crisi della Volkswagen. La corsa verso i veicoli a batteria ha costretto le imprese a rimodulare gli investimenti, ha disorientato e spaventato i consumatori, ha innescato una competizione fatale con i produttori asiatici sui costi di produzione, ha mandato in tilt la filiera della componentistica. Insomma, la tempesta perfetta.
Nel mezzo della bufera i costruttori hanno compiuto il secondo gesto insano. Invece di lottare con tutte le forze fin dall’inizio contro la scelta scriteriata, mandando al diavolo le anime belle dell’ecologismo ideologico, hanno provato ad adattarsi. E il risultato è in quei numeri snocciolati da Fleet&Mobility. Vendendo sempre meno auto, per far tornare i conti le aziende non solo hanno iniziato a ridurre la produzione e a tagliare i costi, ma hanno pensato bene di alzare i prezzi di quelle che ancora si riescono a piazzare. Fenomeno che ha riguardato non solo i veicoli elettrici, i cui costi di realizzazione sono più onerosi, ma anche le vecchie auto a diesel e benzina. Sarebbe difficile altrimenti spiegare la crescita del valore medio in Italia, dove le vetture a batteria rappresentano appena il 7,5% del mercato.
L’operazione ha comportato la sparizione totale di alcuni segmenti. Quello delle auto entro i 14mila euro di listino, che valeva il 7% delle vendite, è scomparso. Quello fino a 20mila euro, che rappresentava il 36% del mercato, ora è sceso al 20%.«Avendo preferito i margini ai volumi, pensare che le immatricolazioni possano tornare ai livelli pre-Covid», spiega Per Luigi del Viscovo, del Centro Studi Fleet&Mobility, «è solo fantasia, nel senso letterale di cosa irrealizzabile. Pensare invece che possano essere i contribuenti a calmierare questi prezzi con gli incentivi ha dentro qualcosa di perverso».
Siccome né l’una né l’altra cosa accadrà, viene da chiedersi che fine farà un comparto che in Italia impiega, compreso l’indotto, circa 270mila addetti e produce 86 miliardi di fatturato, rappresentando circa il 10% del settore manifatturiero. La desertificazione degli impianti di Stellantis, purtroppo, qualche indizio ce lo dà. La buona notizia è che se in Europa smettiamo di usare l’auto nel mondo ci sarebbe l’1% di emissioni di CO2 in meno. Vuoi mettere i benefici per l’ambiente?