Sfida all'economia 2025

La crescita rallenta, ma la vera vittoria del governo è il calo dello spread

Sandro Iacometti

La crescita e il consolidamento dei conti sono le sfide economiche del 2025 anche alla luce dell'inatteso indebolimento del Pil nel 2024, ma la stabilità politica e la manovra hanno avuto il plauso dei mercati, in una fase in cui Francia e Germania sono invece diventate sorvegliate speciali. Il taglio delle stime diffuse dall'Istat a inizio dicembre, con un Pil dimezzato dal +1% al +0,5%, ed il ribasso di 0,3 punti percentuali da 1,1% a 0,8% per il 2025, secondo vari analisti, potrebbero impattare il ritmo del rientro del disavanzo con un eventuale slittamento del pareggio di bilancio atteso nel 2026. Un po' più ottimista dell'Istat è la Banca d'Italia che ha fissato allo 0,7% le stime di crescita per il 2024. Ed appare fiducioso anche il ministro dell'Economia che confida di chiudere l'anno con +0,7% o più.

Mentre per il 2025 il governo indica una crescita dell'1,2%. Ma la linea di prudenza e responsabilità sui conti messa in campo dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti rassicura sia Bruxelles che gli investitori in titoli di Stato, con relativi benefici in termini di spread e quindi di costi di rifinanziamento del debito. E sono questi i dati che contano. Secondo i calcoli di Unimpresa solo nel 2025 ci sono da rinnovare quasi 350 miliardi di debito pubblico. Mentre fino al termine della legislatura i bot, i btp e i cct in scadenza valgono, complessivamente, 839 miliardi. Ancora più grande è il fardello se si allarga l’orizzonte temporale ai prossimi 10 anni. Da qui ad allora scadranno titoli pubblici della Repubblica italiana per un totale di 1.900,9 miliardi. Inutile girarci intorno.

 

Certo, c’è un problema grosso come una casa che riguarda la manifattura, in calo, trainata verso il basso dalla crisi dell’industria europea, a partire dall’automotive, da 21 mesi consecutivi. C’è anche una situazione poco incoraggiante sulla domanda: malgrado dall’inizio del 2024 i redditi delle famiglie crescano più dell’inflazione, aumentando quindi il potere d’acquisto, i consumi stentano a ripartire. Il clima di incertezza spinge gli italiani, ma lo stesso accade in Europa, a risparmiare piuttosto che a spendere. Infine ci sono le guerre, la geopolitica, i timori sui dazi, la sfida del Pnrr e, non ultimo, il mancato segnale del governo verso il ceto medio, che con i suoi guadagni e le sue tasse resta il pilastro del nostro sistema economico e del nostro sistema di welfare.

Ma il vero problema dell’Italia, non da oggi, riguarda il debito, che ha ormai sfiorato la soglia dei 3mila miliardi e rischia di rendere vano qualsiasi sforzo possa essere messo sul piatto per rilanciare il Paese. «La gestione del debito pubblico e delle relative emissioni diventa non solo una questione tecnica, ma anche un banco di prova politico per la credibilità dell’esecutivo sul piano economico e finanziario», dice presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. Ecco, è proprio su questo fronte che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, grazie all’azione di Giorgetti, che ha resistito agli attacchi arrivati anche dall’interno della maggioranza per la sua rigidità nel far quadrare i conti, ha ottenuto il risultato forse più importante della legislatura.

L’ultimo governo eletto dagli italiani, quello di Silvio Berlusconi nel 2008, è caduto su questo terreno. Quello della Meloni, malgrado gufi e profeti di sventura, è riuscito a conquistare la fiducia dei mercati. Lo spread nell’ottobre del 2022 veleggiava sui 250 punti, oggi è a 115. Il che significa non solo 17 miliardi di interessi risparmiati da qui al 2029, ma anche spazio di manovra in Italia e in Europa sulle politiche economiche. Non era scontato. Ed è forse il principale asso nella manica di Palazzo Chigi.