Europa

"Avvenire" in crisi per l'asse Ue-Meloni: la svolta sui migranti

Giovanni Sallusti

La lettura di Avvenire di ieri era un’esperienza istruttiva, a cavallo tra categorie sacre e profane. È bastato infatti che Ursula von der Leyen desse sponda sulla questione migratoria al governo italiano, perché perdesse l’aurea di infallibilità semi-papale che le viene solitamente attribuita su colonne così autorevoli in materia (papalina, non migratoria). Sì, perché «l’asse Meloni-Von der Leyen sui migranti» evocato (o esorcizzato?) a pagina 3 e imperniato sostanzialmente sul “modello Albania” turba assai il quotidiano dei vescovi. Più delle Chiese bruciate in Francia o delle innumerevoli periferie d’Europa in cui si diffonde la sharia, per capirci. Ecco allora il commento affidato a una penna dalla sicura fede immigrazionista: Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università degli Studi di Milano. Il titolo, per nulla già sentito e coraggioso al limite del temerario, suonava: «Perché integrare è l’unica strada». Lo svolgimento, poi, pareva vergato direttamente da Marte, a partire dall’incipit: «A un primo sguardo, si dovrebbe dire che non sono tempi favorevoli ai migranti internazionali».

Qui sono tempi talmente favorevoli per chi emigra (e per chi specula sulla sua disperazione) che i magistrati italiani (o meglio, una parte di essi organizzata esplicitamente in una corrente politica di sinistra) possono sbaraccare qualunque provvedimento di rimpatrio del governo, decidendo dal proprio ufficio quali Paesi nel globo siano sicuri. Ma l’editorialista non si dà pace, anche perché ci si mettono pure gli urticanti riti della democrazia: «Il nuovo patto su immigrazione e asilo nell’Ue e l’elezione di Trump negli Stati Uniti fanno pensare a un inasprimento delle chiusure». Addirittura, «con un’accresciuta enfasi su confini e sovranità nazionale». Cioè: su ambo le sponde dell’Atlantico ci si è convinti che non sia ancora ora di rottamare quell’aggeggio (non) trascurabile che è lo Stato-nazione, all’interno del quale solo sono sorte le (non) trascurabili libertà dei moderni, in nome del frullato arcobaleno delle civiltà. E la cosa pare creare parecchio disagio al giornale della Cei: «Il governo italiano contribuisce al panorama con reiterate misure restrittive». Come ad esempio «la frettolosa chiusura preventiva a eventuali nuovi flussi di rifugiati dalla Siria», che notoriamente non si è mai segnalata in questi anni per essere un incubatore di jihadismo e di potenziale terrorismo internazionale, e che peraltro sta attraversando una fase assolutamente all’insegna della stabilità.

 


«Il ragionamento si fa però più complesso», avverte l’articolista (anche perché meno era difficile). «Lo stesso governo italiano ha previsto 452mila ingressi regolari in 3 anni, a cui ne ha aggiunti altri 10mila per attività domestiche e assistenziali con l’ultimo decreto-flussi». Ergo, Maurizio Ambrosini stronca la tesi di Ambrosini Maurizio: l’esecutivo di centrodestra non è un covo di nazisti dell’Illinois intenti a dare la caccia allo straniero, bensì una compagine politica che non ha alcun problema con l’immigrazione regolata e saldata al lavoro, mentre ne ha parecchi con l’immigrazione incontrollata e alimentata dalle mafie che trafficano in esseri umani. Strepitosi, in termini di capovolgimento del principio di realtà, anche i passaggi per cui oggi si cercherebbe di «negare» ai migranti «la libertà di culto» (piuttosto, è quel che accade a molti cristiani in molti Paesi islamici, ma per Avvenire è un tema démodé) e di «discriminarli nell’accesso alle prestazioni sociali, come nel caso emblematico dell’edilizia pubblica» (esattamente il settore in cui spesso gli immigrati sono in cima alle graduatorie). Niente, la svolta “meloniana” dell’Europa da quelle parti è talmente blasfema che li ha gettati nella confusione totale.