Ultima generazione addio
La crisi di Stellantis zitterà gli ultrà green
Ora che arrivano le lettere di licenziamento ai lavoratori Transnova-Stellantis Elly Schlein pare folgorata sulla via di Damasco. Ora chiede che il governo non tagli 4,6 miliardi di euro sul settore dell’auto. Vuole più incentivi per non lasciare per strada i lavoratori dell’industria automobilistica. Ma è la stessa Schlein che voleva un green deal dal cuore rosso? La stessa che invitava a non criminalizzare gli attivisti di Ultima Generazione a suo avviso giustamente allarmati dalla catastrfe ambientale? La stessa per la quale non era possibile ritardare le tappe della transizione ecologica in Europa? Il che, ricordiamolo, vuol dire stop alle auto a diesel e benzina a partire dal 2035. Che la cosa potesse avere altissimi costi sociali e occupazionali era prevedibile. Lo aveva profetizzato Sergio Marchionne nel 2018: «Con le auto elettriche saliranno i costi di produzione, e tutto ciò porterà ad un aumento dei prezzi di vendita, portando al calo delle immatricolazioni ed anche a dei licenziamenti».
Per non dire delle fosche previsioni di Giulio Tremonti per il quale l’Europa era colpevole di rivolgere le sue attenzioni verso un vero e proprio «eccesso di suggestione ambientale». Per Schlein e per la sinistra tutta, a quanto pare, è venuto il momento di disfarsi della borraccia ecologica per correre davanti ai cancelli delle fabbriche dove i lavoratori dell’automotive protestano. Meritandosi gli sfottò di Marco Rizzo: Pd e Cgil dov’erano mentre la famiglia Elkann-Agnelli socializzava le perdite e privatizzava i profitti? Ciò che sta avvenendo in questo autunno in cui si parla moltissimo di declino industriale è frutto di tanti fattori (dalle privatizzazioni agli alti costi dell’energia) ma di sicuro avrà almeno un risvolto positivo: per un bel po’ di tempo gli attivisti di Ultima Generazione smetteranno di bloccare il traffico sulle grandi arterie cittadine invocando la decrescita “felice” (o infelice dal punto di vista di chi perderà il lavoro). E i partiti che li coccolavano promuovendo i monopattini o facendo campagna elettorale col bus elettrico li dimenticheranno presto (noi non saremo da meno). Nello stesso tempo anche il cipiglio di Greta Thunberg è destinato a risultare meno attrattivo. Ci si concentra oggi sulla figura dell’operaio: non il cassintegrato cui Landini propone l’ottocentesca rivolta sociale ma l’operaio jungeriano che è capace di dominare la tecnica (e di non farsi sopraffare dall’Intelligenza artificiale).
È destinato a tornare di moda anche il sovranismo che si oppone alle delocalizzazioni, un elemento che ritroviamo persino nel famoso rapporto Draghi sulla competitività europea. Insomma tutti quei no accusati di essere antistorici e antieuropei, populisti e demagogici, si scoprono non privi di fondamento: no alla globalizzazione senza controllo, no ai lacci e lacciuoli dei regolamenti Ue che fanno scappare gli imprenditori, no alla transizione green troppo affrettata e calata dell’alto senza riconoscere la specificità dei territori. E inoltre com’è possibile una ripresa dell’industria senza massicci interventi statali visto che il tessuto economico italiano si regge su piccole e medie imprese? È immaginabile una versione attualizzata dell’Iri? Nel dopoguerra l’Istituto divenne il fulcro dell’intervento pubblico nell’economia italiana. Nel 1982 il governo affidò la presidenza a Romano Prodi, che cedette 29 aziende del gruppo, tra cui l’Alfa Romeo. Per risollevare l’industria italiana in modo davvero strategico servirebbe un piano d’azione di largo respiro ma soprattutto servirebbe cambiare la mentalità impregnata dall’effimero, dall’istante, dalla retorica del fare presto che poi si traduce nel metterci una toppa peggiore del buco: «Il tempo che noi viviamo – ha scritto opportunamente lo studioso francese Jérome Bindé – è interamente dominato da ciò che chiamo la tirannia dell’urgenza sia sulla scena finanziaria, dove le transazioni si fanno ormai in una frazione di secondo, sia sulla scena mediatica o sulla scena politica nella quale la prossima elezione sembra il solo orizzonte temporale dell’azione pubblica».