Scenari

Banche, basta con le fusioni che allontanano gli istituti dai territori

Bruno Villois

Lo scenario bancario italiano ha iniziato la settimana con un improvviso lancio di un Ops, per ora virtuale, da parte della seconda banca nostrana, Unicredit, sulla terza, Banco Bpm. L’ipotetica offerta di scambio di azioni che porterebbe alla fusione tra i due istituti presenta molteplici lacune, la più grave è quella che Orcel, Ceo di Unicredit, si è scordato di stabilire un contatto con il suo pari livello di Bpm, Castagna, per capire se ci fossero le condizioni per procedere ad un accordo che non fosse ostile, come chiaramente si è rivelato. Banco Bpm, sotto la guida di Giuseppe Castagna, ha cambiato totalmente pelle, raggiungendo traguardi reputazionali, di patrimonializzazione-redditività e soddisfazione della clientela, superiori a qualunque più ottimistica previsione. 

Le ultime mosse su Anima, peraltro concordate con i suoi vertici sotto ogni aspetto, per procedere ad un’Opa totalitaria è stata comunicata alla Banca d’Italia, alla Consob e al dicastero del Tesoro, l’offerta è sta accettata dall’organo deliberante dell’emittente. Bpm grazie anche a questa operazione ha aumentato il valore che già nell’attuale piano industriale prevedeva significativi risultati che si sono continuamente raggiunti. La grande maggioranza degli analisti e delle banche d’affari, hanno aggiornato il target price a 12 mesi in una forbice tra 7,70 e 8,50 euro, con una crescita di valore che porterebbe l’istituto ad una patrimonializzazione di borsa tra gli 11 i 12 miliardi di euro, valore che si discosta dall’offerta di Unicredit tra il 20 e il 25%. 

 

Una componente, quella del valore, che si abbina ad altre due. La prima riguarda il rapporto tra banche e tessuto economico, costituito in massima parte da piccole e piccolissime imprese, le quali rappresentano oltre il 95% del totale. E alle piccole imprese è necessario offrire linee di credito che siano compatibili con il loro modus operandi e di riflesso con le banche il cui core sia fondamentalmente legato all’Italia, pur potendo, come sta facendo Bpm da 5 anni a questa parte, disporre di tutte le condizioni per operare anche sulle imprese di maggior rilevanza, offrendo tempistiche sovente più accelerate e caratteristiche concessive meno onerose, condizioni che fortificano l’idea di realizzare un terzo polo, auspicato anche dall’intera politica e concretizzatosi con l’operazione su Monte Paschi da parte di Bpm. 

Servirebbe un terzo polo in grado di offrire alla vastità della clientela di piccole e medie dimensioni, ma anche grandi, un supporto bancario strutturato che valorizzi i territori. La seconda componente altrettanto rilevante di cui tenere conto riguarda l’incidenza della fusione, derivante dall’Ops possa avere sull’occupazione, ma anche sulla concessione del credito che in ragione di una eccessiva concentrazione di rischio su un solo soggetto potrebbe diminuire.

 

Nei precedenti casi di fusioni, tutti definiti in concordia tra emittente e offerenti, gli esuberi hanno abbondantemente superato il 10% e l’erogazione del credito si è ridotta. E anche questa fusione difficilmente si discosterebbe da quei numeri. In conclusione, mentre Orcel merita il più sostenuto applauso per l’operazione Commerzbank, che collocherebbe Unicredit tra le prime tre o quattro banche di Eurolandia, nel caso dell’offerta su Bpm, si fatica ad intravedere un combinato che accresca il contributo bancario al sistema socio-economico, ovvero crei valore.