L'effetto

Cedolare secca, il crollo dell'evasione fiscale sugli affitti di casa

Attilio Barbieri

 La cedolare secca sugli affitti funziona e ha fatto calare dell’80% l’evasione nel giro di pochi anni. La conferma che un prelievo di entità contenuta- in questo caso il 21% - spinge i contribuenti a pagare. Al contrario quando la tassazione supera il livello accettabile esplodono evasione ed elusione.

Nel 2021 il tax gap sui redditi da locazione è sceso a 222 milioni di euro, con una riduzione di quasi l’80% rispetto al 2017 quando superava il miliardo. Contemporaneamente, segnala Confedilizia sulla base dei dati pubblicati nell’ultima relazione sull’economia sommersa del Ministero dell’Economia, la propensione all'evasione è scesa al 2,9% rispetto al 12,1% del 2017.

 

 

 

«La riduzione», aggiunge l’associazione che rappresenta la proprietà immobiliare, «è evidentemente il frutto del consolidamento di un regime tributario come quello della cedolare secca sugli affitti abitativi, voluta fortemente dalla stessa Confedilizia e introdotta in via opzionale nel 2011». «I dati - aggiunge Confedilizia dimostrano come la cedolare sia stata uno strumento efficace non solo per semplificare il regime fiscale, ma anche per ridurre in maniera sostanziale l'evasione nel settore delle locazioni residenziali».

La legge delega per la riforma fiscale prevede l'introduzione della cedolare secca anche per le locazioni a uso diverso dall’abitativo. Secondo Confedilizia, l'attuazione della nuova disposizione «è più che mai urgente, considerato l'imponente carico tributario cui i proprietari devono far fronte per questa tipologia di contratti, che fra Irpef, addizionali comunale e regionale, Imu e imposta di registro, arriva a erodere gran parte del canone nominalmente percepito. Estendere questo regime fiscale virtuoso potrebbe rappresentare - specie se accompagnato da uno snellimento della normativa riguardante le regole contrattuali, risalente a mezzo secolo fa - un aiuto importante per il commercio e l'artigianato, contribuendo a contrastare la desertificazione e il degrado delle aree urbane».

 

 

 

Il successo nel contrasto all’evasione della cedolare secca, che ammonta al 21% sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti, salvo che per i contratti a canone concordato, per cui si applica un'aliquota del 10%, dimostra che l’economista americano Arthur Betz Laffer aveva ragione.

Il prelievo raggiunge il punto in cui le entrate fiscali salgono al massimo attorno a un’aliquota del 20%. Poi, al salire del peso percentuale dell’imposta, gli incassi dell’erario calano. La tesi di fondo da cui partitono gli studi di Laffer era che se la pressione fiscale è troppo alta, le entrate fiscali calano, in virtù dei disincentivi ad aumentare l'attività lavorativa in presenza di aliquote più elevate.

Il termine “curva di Laffer” fu coniato da una giornalista del Wall Street Journal che nel 1980, alla vigilia delle elezioni presidenziali vinte da Ronald Reagan, partecipò a un pranzo con il candidato repubblicano e con lo stesso Laffer il quale, per convincere il futuro presidente Usa della bontà della sua teoria, scarabocchiò una curva su un tovagliolo.

L’aspetto rivoluzionario messo in gioco da Laffer era quello di ipotizzare che il livello fiscale capace di massimizzare le entrate erariali fosse molto più basso di quanto si pensava in precedenza. Su questa tesi Reagan costruì il vasto piano di detassazioni e deregulation con cui stracciò il rivale democratico Jimmy Carter.