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Pensioni, assegni più pesanti: ecco cosa cambia con la "rivalutazione piena"

Michele Zaccardi

Rivalutazione delle pensioni all’inflazione e incentivi per chi rimane al lavoro. E poi aumento delle minime, anche se non si sa ancora di quanto.
Sono queste le principali novità della manovra da 30 miliardi varata martedì dal governo. Nessuna rivoluzione epocale dunque sul fronte della previdenza, visto che la finanziaria si limita a prorogare per l’anno prossimo gli interventi di flessibilità in vigore anche nel 2024, come Ape sociale, Opzione donna e Quota 103.

«Non interveniamo se non confermando i provvedimenti dello scorso anno in materia pensionistica» ha dichiarato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in conferenza stampa, aggiungendo di aver introdotto «un nuovo e innovativo meccanismo di incentivazione per quanto riguarda coloro che raggiungono l’età del pensionamento pubblico e privato per la permanenza in servizio su base volontaria. Avranno un incentivo significativo sotto l’aspetto fiscale». Per quanto riguarda invece la rivalutazione degli assegni, Giorgetti ha detto che «il meccanismo di sterilizzazione che era in vigore non c’è più». Di conseguenza, la rivalutazione sarà piena. Dal 2025 si torna così al sistema previsto dalla legge 388 del 2000, successivamente modificata, che ha suddiviso la perequazione in tre fasce: adeguamento al 100% del tasso d’inflazione per gli assegni fino a quattro volte il trattamento minimo (614,77 euro), al 90% per quelli di importo compreso tra quattro e cinque volte il minimo e al 75% per quelli di importo superiore.

Per la proroga delle varie forme di flessibilità in uscita e l’aumento delle pensioni minime (l’ipotesi è portarle a 625-630 euro) la manovra stanzia 460 milioni di euro. Attingendo alle stesse risorse, come indica il Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles, saranno finanziate le misure «per favorire la permanenza al lavoro al raggiungimento dei requisiti di età perla pensione». Nello specifico, Ape sociale è un’indennità assistenziale a carico dello Stato erogata dall’Inps a soggetti in particolari condizioni che abbiano compiuto almeno 63 anni di età e che non siano già titolari di pensione diretta. Opzione donna consente invece ad alcune categorie (caregiver, invalide civili al 74% e lavoratrici licenziate o dipendenti di imprese in crisi) di anticipare la pensione. Le condizioni sono un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età anagrafica pari o superiore a 58 anni (per le dipendenti) e a 59 anni (per le autonome). Infine, quota 103 consente di uscire dal lavoro con 62 anni di età e 41 anni di contributi.