Come la mettiamo?

Pensioni pagate dagli immigrati? La smentita alla sinistra arriva dall'Inps

Ignazio Stagno

Una volta e per tutte viene smontata la balla colossale che la sinistra e i Cinque Stelle usano per giustificare la politica delle porte aperte, marchio di fabbrica, ad esempio del governo giallorosso: "Servono più immigrati per pagare le pensioni agli italiani", è il mantra che ormai fa scuola dalle parti di Avs, Pd e grillini. E questa vola a mettere una pietra tombale sul ritornello del campo largo che fu è il direttore generale dell'Istituto di previdenza sociale, Valeria Vittimberga. "Credo che sia una semplificazione errata pensare che l’aumento dei flussi migratori possa costituire una soluzione definitiva per sostenere il nostro sistema previdenziale", spiega a Il Messaggero.

Poi articola il suo ragionamento e fa a pezzi la storiella preferita dalla propaganda giallorossa: "Questo tema deve essere affrontato con azioni pragmatiche, come quelle attuate dal Governo, per migliorare la composizione dei flussi e favorire l’integrazione dei lavoratori stranieri, mentre si combattono il lavoro nero e lo sfruttamento. Un‘immigrazione non regolamentata – aggiunge – potrebbe apparire vantaggiosa nel breve termine, ma comporterebbe un aumento della spesa pensionistica e assistenziale nel lungo periodo". Insomma parole fin troppo chiare che sottolineano quanto il fenomeno migratorio legato alle casse dell'Inps sia una questione ben più complessa e che va valutata con la giusta prudenza, senza slogan e soprattutto senza fare facile propaganda. L'ultimo, in ordine di tempo, che si era posizionato sulla barricata dell'aumento degli arrivi in Italia era stato l'ex presidente dell'Inps, oggi sulla poltrona da eurodeputato pentastellato a Bruxelles, Pasquale Tridico. In un'intervista a La Stampa, quando ancora aveva in mano le redini della nostra previdenza e dunque dei conti sulle nostre pensioni, aveva tuonato: "Senza i migranti tra 20 anni i conti Inps saranno critici. Cambiare le legge Fornero peggiorerebbe ancora il quadro pensioni".

A sconfessare le teorie di Tridico (oggi direttamente messe in discussione dall'istituto che dirigeva) erano stati anche i numeri dell'Osservatorio Inps che fotografavano un reddito pro-capite per un immigrato lavoratore che si aggira introno ai 14.000 euro contro i 20.000 di un dipendente italiano e contro i 52.000 di un lavoratore autonomo. Il tutto con una quota di contributi versati dall'immigrato più bassa di quella dei lavoratori italiani. Ma ciò che la sinistra ha dimenticato in questi anni è che il nostro sistema previdenziale è "a ripartizione", di fatto ciò che si versa viene poi corrisposto in futuro. E la stessa cosa avviene anche per gli immigrati. In questo momento i regolari che lavorano nel nostro Paese con i requisiti per la pensione sono pochissimi, ma con un aumento degli ingressi, il rapporto potrebbe ribaltarsi e capovolgersi con uno effetto nullo: la quota di contributi minima che oggi viene spalmata, in parte, per pagare i trattamenti previdenziali dei lavoratori italiani in futuro con arrivi incontrollati di fatto aumenterà e servirà però solo per pagare gli assegni ai migranti a lavoro nel nostro Paese. Non finisce qui: a chi ancora decanta ancora come fosse un tormentone estivo "più immigrati e più soldi per le pensioni" andrebbe anche ricordato che l'Inps si occupa anche del welfare e del sostegno alle famiglie a basso reddito.

 

 

E dunque i contributi versati dagli immigrati regolari spesso servono anche per sostenere le loro di famiglie nel caso in cui avessero problemi di cassa o di assistenza. E questo dibattito sugli assegni di domani si intreccia anche sull'orizzonte di uscita dal mondo del lavoro. Il presidente dell'Istat, Francesco Maria Chelli ha spiegato che "le ipotesi sulle prospettive della speranza di vita a 65 anni contemplate nello scenario mediano presagiscono una crescita importante, a legislazione vigente, dell'età al pensionamento. Rispetto agli attuali 67 anni, si passerebbe a 67 anni e 3 mesi dal 2027, a 67 anni e 6 mesi dal 2029 e a 67 anni e 9 mesi a decorrere dal 2031, per arrivare a 69 e 6 mesi dal 2051". Tradotto: lo squilibrio crescente tra le generazioni potrebbe avere conseguenze sull'età d'uscita. Nessuna ricetta è più efficace per blindare i conti dell'Inps come quella del rilancio dei piani per la natalità. Parallelamente, nessuno qui lo nega, nemmeno l'Inps, i flussi regolari possono contribuire a tenere a bada il sistema, ma, è qui il punto importante, non sono l'unico strumento per mettere al sicuro le pensioni di domani. Ecco perché la lezione del direttore generale dell'Inps è quanto mai fondata e da ascoltare fino in fondo. Non per motivi ideologici ma per logica e per i numeri. Che come sempre parlano chiaro a differenza dei vari Tridico o Boeri che in passato hanno tentato di darci l'illusione errata che con più arrivi nel nostro Paese avremmo avuto le pensioni assicurate per i prossimi decenni. L'argomento più sbagliato che possa esserci per creare una insostenibile bolla previdenziale.