Piano energetico

Nucleare, la difficile storia in Italia. Ma ora può scrivere un altro capitolo

Francesco Carella

Un altro falso storico sta per essere smascherato: il nucleare a scopo civile anche in Italia non è più un tabù. Infatti, l’uso dell’energia atomica è sempre stata considerata come qualcosa di pericoloso da parte di una pubblica opinione fuorviata da una élite culturale segnata da un livello di conoscenza tecnico-scientifica a dir poco imbarazzante. In tal senso, basti ricordare quanto accadde nell’aprile 1986 nei giorni dell’incidente alla centrale di Chernobyl. Il grande esercito degli opinionisti, sostenuti da politici altrettanto incompetenti, si buttò a capofitto nel puntare l’indice non verso le pessime condizioni in cui veniva tenuta la centrale sovietica (reale causa del disastro), ma contro gli eccellenti centri atomici che il nostro Paese aveva faticosamente costruito e che avrebbero potuto assicurare l’autonomia necessaria all’Italia per svolgere un ruolo di primo piano nell’economia mondiale. In quei mesi si crearono le condizioni per giungere, nel novembre 1987, a uno sciagurato referendum a causa del quale sull’atomo italiano scese definitivamente il silenzio.

Nulla di nuovo rispetto alla storia della nostra politica nucleare. Si pensi alle frustrazioni vissute dallo scienziato Felice Ippolito, il quale a partire dai primi anni ’50 cercò in tutti i modi di convincere i governanti dell’epoca che «avere un progetto atomico autonomo significava fornire propellente alle strategie industriali e tecnologiche del proprio Paese impegnato in un radicale processo di modernizzazione dopo la distruzione del Secondo conflitto mondiale». Ippolito nel suo diario racconta un aneddoto esilarante relativo al suo incontro con l’allora ministro dell’Industria Bruno Villabruna al quale illustra i progetti relativi alla costruzione delle centrali. Il ministro dopo averlo ascoltato con attenzione dice: «Scusa Ippolito, ma questo nucleare noi non ce lo abbiamo già?».

 

 

 

Non ebbe carattere diverso l’incontro con il presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi. Questi - scrive Ippolitosi dimostrò più aperto, anche se profondamente scettico. Nel congedarmi disse: «Se proprio vuoi costruirle queste centrali, fallo pure». Purtroppo, anche l’ingegnere napoletano dovette fare i conti con l’ignoranza dell’allora classe politica che cercò in tutti i modi di boicottare i suoi piani. Nondimeno, riuscì a far partire i progetti che aveva preparato, portando il nostro Paese in termini scientifici fra i primi posti al mondo e ponendo le basi per la realizzazione di centri atomici efficaci che avrebbero, se realizzati, cambiato il destino economico del nostro Paese.

Come finì? La vicenda si concluse in perfetto stile italiano. Nel febbraio 1964, l’ingegnere finisce in manette dietro accuse pesantissime. Lascerà il carcere, dopo poco più di due anni per un decreto di Grazia firmato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Inutile aggiungere che l’ingegnere fu riabilitato e tornò all’insegnamento universitario. Il danno, però, per il futuro della nostra economia fu enorme. L’Italia disse addio al sogno nucleare né trovò più la forza per realizzare una politica energetica autonoma che avesse il respiro di una grande potenza industriale, mentre iniziò l’ascesa dei professionisti del catastrofismo sordi al fatto che, nel frattempo, diventavano attivi nel mondo 542 reattori, 100 in Europa, mentre 50 solo nella vicina Francia.

Intanto, l’inquinamento atmosferico continua, mentre le bollette per l’energia raggiungono livelli stratosferici nell’assoluta indifferenza della cosiddetta sinistra ambientalista. Riaprire il capitolo della produzione dell’energia nucleare è indispensabile per una classe politica che guarda al futuro dell’Italia. Ed è ciò che farà l’attuale governo con il piano nazionale integrato energia e clima che prevede la produzione in Italia di energia elettrica dal nucleare di ultima generazione. Infatti, il governo Meloni ha inserito l’atomo nel piano energetico del 2030-2050. Dopo quasi quarant’anni dalla vittoria del Sì al referendum abrogativo sulle centrali nucleari del 1987, l’Italia riapre le porte a una fonte di energia pulita e riprende un know-how fra i più avanzati. È ormai acclarato che il nucleare di nuova generazione, a moduli limitati, rappresenta una risorsa fondamentale per il contrasto ai cambiamenti climatici. La sinistra ambientalista si oppone, dimostrando ancora una volta che l’analfabetismo scientifico è il grande limite di una parte della nostra classe politica. Ma in questo caso c’è anche molto populismo. 

 

 

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