Soldi, soldi

Pensioni, la sentenza che può stravolgere gli assegni: "Deciderà la consulta"

Ignazio Stagno

Sul fronte pensioni c'è una novità non di poco conto. La questione del blocco delle rivalutazioni arriva alla Consulta. I giudici della Corte Costituzionale dovranno esprimersi sul sistema degli scaglioni che come è noto prevedono un adeguamento pieno all'inflazione per gli assegni fino a quattro volte il minimo Inps e un ricalcolo con percentuali che decrescono all'aumentare del peso del cedolino sopra i 2.271,76 euro.

IL CASO
A dare il via al ricorso che ha innescato il rinvio alla Consulta da parte della Corte dei Conti della Toscana, è un ex dirigente scolastico fiorentino, Marco Panti, che con un assegno da 5.708 euro lordi mensili (10 volte superiore all'assegno minimo) ha «subito gli effetti negativi dei limiti alla perequazione automatica previsti dalla legge di bilancio 2023», si legge nel ricorso. La rivalutazione per questa tipologia di importo è prevista tra il 37 e il 22 per cento e non al 100 per cento. E così la Corte potrebbe aver scoperchiato una vaso di Pandora mentre il governo si accinge a far quadrare i conti in vista dell'implementazione della legge di Bilancio: «La penalizzazione dei titolari di trattamenti pensionistici più elevati - si legge nell'ordinanza - lede non solo l'aspettativa economica ma anche la stessa dignità del lavoratore in quiescenza: in tale prospettiva la pensione più alta alla media non risulta considerata dal legislatore come il meritato riconoscimento per il maggiore impegno e capacità dimostrati durante la vita economicamente attiva, ma alla stregua di un mero privilegio, sacrificabile anche in un'asserita ottica dell'equità intergenerazionale», si legge nella pronuncia.

 

 

E ancora: «La particolare dignità dell'attività lavorativa come contributo al progresso della società implica la necessità di valorizzare i principi della proporzionalità della retribuzione “alla quantità e qualità del suo lavoro” (art.36 Cost.) e la funzione propriamente previdenziale dei trattamenti pensionistici (art. 38 Cost.), rendendo necessario mantenere la proporzionalità anche nei confronti dei lavoratori in quiescenza, non solo per assicurare al soggetto un trattamento economico commisurato all'attività lavorativa svolta ma per tutelare la stessa dignità del lavoratore che non può essere sminuita nel periodo successivo al collocamento in pensione».

Ma in questa storia va ricordato un precedente (fondamentale) di qualche anno fa. Nel mirino finì il blocco delle rivalutazioni varato dal governo Monti tra il 2012 e il 2013. La Consulta con un verdetto del 2015 dichiarò incostituzionale il sistema con i "freni" sull'adeguamento al costo della vita declinato su diverse fasce. Al punto che l'allora ministro Poletti dovette intervenire con un decreto per un parziale rimborso delle quote "mancanti" sulla rivalutazioni del biennio precedente.

IL PRECEDENTE
A questa decisione era seguito un ulteriore ricorso da parte di diversi pensionati per il nuovo sistema varato dal governo Renzi. E in questo caso la Consulta definì lo schema come un «non irragionevole sacrificio del diritto dei singoli in favore delle esigenze finanziarie della collettività». Avallando dunque il blocco, in linea con quanto già affermato in una sentenza del 2014. Vedremo cosa accadrà adesso...