Il commento

Un Nasdaq europeo per attrarre i grandi investimenti

Bruno Villois

Mario Draghi, com’è nel suo stile, ha volato alto nel suo report sulla competitività, editando un saggio accademico impeccabile nell’analisi, nei rischi che sta correndo l’Europa, Eurolandia in particolare, negli obiettivi di contrastare gli attuali impedimenti e poi superarli, tra i quali spiccano le decisioni politiche prese all’unanimità.

A mio parere però a difettare sono le conclusioni e i modelli per metterle in atto. Eurolandia non è un unico stato federato,come gli Usa, ma un aggregato che finora ha trovato nella sola moneta il suo riferimento. Sul tema della difesa e sicurezza l’Europa, Eurolandia in particolare, fa una fatica titanica a sostenere la Nato e se non fosse per gli Stati Uniti, che non a caso lamentano forti deficienze dai paesi Europei nel sostenere l’alleanza, avrebbe già abbandonato.

 

 

 

Uno spirito unitario europeo che si impegni a costituire una forza militare propria è tutt’altro che dietro l’angolo, nonostante il pericolo Russia e i costi che ciascuno Stato aderente all’euro sostiene, che si spenderebbero assai meglio nel caso si investisse in un solo esercito e nei suoi armamenti. Stesse complessità si avvertono nella politica fiscale, con ogni nazione che segue regole e percorsi che sono completamente difformi tra loro, tanto da costituire un costante tema di confronto per accaparrarsi investitori o insediamenti industriali odi ricerca, condizioni che tendono ad alimentare fughe da una nazione all’altra, l’esempio di Lussemburgo e Olanda è lampante.

Divisioni che impediscono di puntare ai maxi finanziamenti necessari per alimentare l’obiettivo primario di rilanciare la competitività e far avvicinare Eurolandia a Stati Uniti e Cina in innovazione, ricerca e modernizzazione. Il piano da 800 miliardi annui per un numero imprecisato di anni può avvenire, come indicato da Draghi, con l’emissione degli eurobond. Solo una politica fiscale uniformata e l’abbandono della competizione tra Stati ad attrarre contribuenti con condizioni di favore, può consentire un debito comune di trilioni di euro. Sono queste considerazioni che portano a esprimere consistenti dubbi sulle conclusioni di Big Mario.

È necessario, o meglio indispensabile, disporre di trilioni di euro da destinare agli investimenti, ma ci si può riuscire solo definendo una fiscalità europea unica. In attesa di realizzarla è necessario non perdere altro tempo puntando a trascinare l’industria europea a poter investire come quella statunitense. Ma per farlo serve un mercato finanziario europeo sul modello del Nasdaq, in grado di attrarre imprese da ogni dove nel globo e attirare investitori che oggi nonostante la ricchezza finanziaria europea puntano sempre più sui mercati statunitensi.

Un Nasdaq europeo che dovrebbe ambire a catturare in primis le imprese indiane dell’innovazione che stanno nascendo con un ritmo impressionante, le quali quotandosi potrebbero anche insediare centri di ricerca e siti produttivi in Europa, utilizzando per gli scambi commerciali l’euro. La grande manifattura tedesca, essenzialmente metalmeccanica, la francese del fashion e del lusso e quella italiana delle filiere artigiane uniche al mondo, ne avrebbero un grande giovamento potendo cosi alimentare, con ben altra forza, innovazione e investimenti e forse spingere gli Stati ad una fiscalità unica.