Gabelle inutili

Tasse da manicomio? Funghi, Totocalcio e azoto: ecco cosa tagliare subito

Sandro Iacometti

Il redditometro, uno degli strumenti più odiosi usati dal fisco, che trasforma tutti i contribuenti in evasori fino a prova contraria, è stato messo nel congelatore? Bene. Le sanzioni lunari che trasformavano gli esattori in una sorta di strozzini di Stato sono state ridimensionate e allineate ai livelli europei? Benissimo. Però, come spiegava ieri in una puntuale e lucida analisi su Libero il nostro direttore editoriale Daniele Capezzone, che a combattere le distorsioni del fisco ci ha provato personalmente, e in alcuni casi ci è pure riuscito, dai banchi del Parlamento, non è abbastanza. Vanno nella direzione giusta la semplificazione dei tributi e degli adempimenti, le garanzie per i contribuenti, l’introduzione del contraddittorio e l’eliminazione delle trappole e delle insidie per chi le tasse le paga o cerca di pagarle. Ma le aspettative degli elettori di centrodestra che hanno votato questa maggioranza, e più in generale di tutti gli italiani che lavorano, fanno impresa e creano ricchezza vanno ben oltre.

Per carità, la coperta dei conti pubblici è cortissima, il Superbonus ha squassato in maniera devastante i saldi di bilancio e in autunno i guardiani di Bruxelles torneranno a puntare i fucili contro chi non rispetta i parametri del nuovo Patto di Stabilità. Epperò, come ribadisce anche oggi Capezzone, qualcosa bisogna pur fare. Non tutto e subito. Non una manovra reaganiana, che pure non dispiacerebbe, di abbattimento drastico delle aliquote. Ma almeno un segnale, una politica dei piccoli passi, un cronoprogramma cauto e prudente.

 

 

 

Un buon inizio potrebbe essere quello che suggeriva Carlo Cottarelli qualche anno fa, nel 2020, quando ancora non si era lasciato incantare dalle sirene della politica (da cui poi è fuggito) e dal suo Osservatorio dei Conti pubblici italiani, di cui era direttore, pungolava i governi sulle politiche economiche e fiscali. «Da qualche parte», scriveva in una lunga nota volta a migliorare la vita delle imprese italiane, «bisogna pur cominciare...» Per quanto riguarda il fisco il punto di partenza è il recente dossier della Cgia di Mestre secondo cui le prime 15 imposte applicate in Italia coprono circa il 90% del gettito totale.

Le prime 5, tanto per dire, che sono Irpef, Iva, Ires, Irap e Imu da sole valgono circa il 75% di tutte le entrate tributarie dello Stato. Dalla sesta posizione in poi le quote percentuali di gettito iniziano a ridursi sensibilmente, scivolando rapidamente verso lo zero virgola e diventando, man mano che si scende, sempre più insignificanti per la tenuta dei conti pubblici.

Ecco, è qui che si concentra l’attenzione di Cottarelli, che nel suo dossier infarcito di 20 proposte di carattere generale e 91 di carattere specifico, quando arriva ad affrontare il tema delle tasse, inserisce al primo posto l’abolizione di una ventina di micro-imposte. In tutto si tratterebbe di trovare circa 685 milioni sui 570 miliardi che ogni anno lo stato in cassa grazie a tasse e balzelli. Per trovare le risorse, spiega il rapporto dell’Osservatorio Cpi, basterebbe un aumento marginale delle aliquote sulle altre imposte.

 

 

 

Vabbè, direte voi, ma allora è il gioco delle tre carte. Tolgo da una parte e prendo dall’altra. Ovviamente l’ideale sarebbe finanziare l’operazione con tagli di spesa, che non sarebbero esorbitanti. Ma la realtà è che in molti casi si tratta di gabelle assurde e senza senso, balzelli stratificati nel corso degli anni, senza più ragion d’essere, che una riforma del fisco dovrebbe spazzare via senza indugio. Non fosse altro per una questione di decoro. Per avere un’idea, nell’elenco troviamo la tassa sulle emissioni sonore degli aerei che porta all’erario, udite udite, 6 milioni all’anno. Più o meno lo stesso gettito (7 milioni) arriva dall’addizionale comunale sui diritti d’imbarco dei passeggeri. Poi c’è la tassa regionale sulla raccolta dei funghi, meno di 500mila euro di incasso, che neanche il miglior tributarista riuscirebbe a giustificare, considerato che probabilmente i costi amministrativi per il recupero delle somme superano di gran lunga il gettito ottenuto. Non basta? Allora prendiamo i diritti dell’Ente nazionale Risi (7 milioni di entrate), di cui si chiedeva l’abolizione già negli anni 50 oppure la tassa sulle emissioni di anidride solforosa ed ossido di azoto, l’imposta sugli aerotaxi, quella sul Totocalcio, a cui ormai non gioca più nessuno, i diritti degli archivi notarili, l’imposta sulle patenti, i proventi della vendita di denaturanti e contrassegni di Stato, il tributo speciale discarica.

Ma in fondo Cottarelli è stato generoso. Se andiamo a vedere l’elenco della Cgia, su dati Istat del 2023, ci sono almeno una trentina di tasse che impattano sul gettito per una quota pari allo 0%. Manciate di milioni ognuna che messe insieme possono anche pesare per qualche centinaio di milioni sulle casse dello Stato, ma ne vale la pena? Soprattutto pensando che dietro ogni balzello oltre agli oneri per chi lo deve versare c’è anche il tempo impegnato da chi (ovvero statali stipendiati dai contribuenti) lo deve riscuotere.

Vogliamo davvero impiegare dei funzionari pubblici per incassare il tributo di pochi spicci sulla raccolta dei funghi? Una riforma per un fisco più moderno ed efficiente dovrebbe partire proprio dalla capacità di togliere i rami secchi. Che non lo rendono solo brutto, inadeguato e ridicolo, ma anche farraginoso, incomprensibile e contorto. Proprio quello che il governo dice di voler mettere in soffitta.