La strategia del governo

Redditometro, fuori dai controlli automatici tutte le spese delle famiglia

Michele Zaccardi

L’impegno se lo è assunto Giorgia Meloni in persona. Il nodo, dunque, non riguarda il se ma il come. E si capisce, visto il putiferio che ha scatenato la pubblicazione lunedì in Gazzetta Ufficiale del decreto del Mef che reintroduce il redditometro. La firma in calce è quella del viceministro Maurizio Leo, che ieri è stato convocato a Palazzo Chigi per spiegare motivi e contenuti del suo provvedimento. Un confronto, quello tra il premier e il numero due dell’Economia, con delega al fisco, che ha partorito l’abiura ufficiale del decreto varato il 7 maggio scorso. «Ho incontrato il viceministro Leo e siamo giunti alla conclusione che sia meglio sospenderlo, in attesa di ulteriori approfondimenti» ha dichiarato Meloni. Sic transit, insomma. Dopo appena due giorni di vita, lo strumento che ricostruisce il reddito dei contribuenti a partire dalle spese sostenute viene messo in stand-by.

Al momento, gli uffici legislativi stanno ancora studiando il dossier, ma sembra che sarà un decreto ministeriale a sancire la sconfessione del redditometro. In attesa di un provvedimento «di revisione dell’istituto», hanno spiegato alcune fonti di governo, verrà «differita l’attività applicativa» del decreto del 7 maggio. Di certo, per ora, c’è che il governo intende fare in fretta per limitare i danni in vista delle Europee. Da qui la sollecitudine con cui è stato convocato Leo. Il viceministro, infatti, era atteso in Cdm venerdì per «relazionare» sul decreto, ma le convulsioni degli ultimi due giorni all’interno della stessa maggioranza hanno spinto il premier ad anticipare il colloquio. L’obiettivo, insomma, era sminare quanto prima il terreno. Anche perché, tra i ranghi del centrodestra, a preoccupare è soprattutto un tempismo che definire infelice pare riduttivo: a nemmeno tre settimane dalle Europee si è fornita alle opposizioni un’arma con cui pungolare il governo. Le tensioni nella maggioranza sono deflagrate martedì, quando le agenzie hanno dato conto della reintroduzione del redditometro. Mentre ieri la Lega ha incassato l’approvazione di un ordine del giorno al decreto Superbonus, che sarà votato oggi alla Camera, con cui si chiedeva al governo di promettere «il superamento» del redditometro.

 

 

 

Quanto alle modifiche allo studio, le ipotesi che circolano vanno nella direzione di ridurre al minimo gli indicatori che l’Agenzia delle Entrate può usare per stimare il reddito. Ferma la soglia del 20% di scostamento tra reddito stimato e dichiarato per far scattare l’accertamento, in modo da colpire solo i grandi evasori, dalle voci dovrebbero sparire le spese per abbigliamento e calzature, medicinali e visite mediche, bollette e rata del mutuo o del telefono. Rimarranno solo quelle variabili che consentono di stanare chi dichiara redditi “da fame” ma di fatto vive nel lusso (come suv, barche o seconde case in località rinomate).

 

 

 

In ogni caso, l’intervento era in qualche modo necessario. Introdotto dal governo Berlusconi nel 2010 e modificato nel 2015 da Renzi, il redditometro era stato nei fatti congelato nel 2018 dal Conte 1. Il dl Dignità aveva infatti cancellato il provvedimento attutativo del 2015, rimandando a un successivo decreto - mai emanato fino al 7 maggio scorso- la riformulazione del meccanismo di calcolo del reddito presunto. Un pasticcio, insomma, a cui ha cercato di mettere una pezza Leo. Anche perché, se è vero che il suo decreto reintroduceva il tanto vituperato redditometro, al tempo stesso si fissavano alcuni paletti all’azione dell’Agenzia delle Entrate. Paletti che ora saranno resi ancora più stringenti.