L'indagine Censis
Ceto medio, l'Italia che paga tutto ora si sente sotto assedio
No, oggi non troverete sui quotidiani titoli a sei colonne sull’allarme del ceto medio. L’informazione (e anche la politica) è giustamente concentrata su chi sta più in difficoltà, sulle fasce meno abbienti, sul lavoro sottopagato. La povertà, quella sì che fa notizia. Persino quando, come ha recentemente spiegato l’Istat, il suo livello tra il 2022 e il 2023 è rimasto «sostanzialmente stabile». Ma vuoi mettere fare un titolo su 5,7 milioni di indigenti, ai massimi da 10 anni, rispetto alla paura reale e percepita del ceto medio di scivolare verso il basso?
Del resto, direte voi, chi se ne frega del ceto medio, pensiamo a chi sta male e non arriva alla fine del mese. Giusto. E non a caso pure il centrodestra, una volta considerato punto di riferimento delle classi più agiate, nel suo primo anno e mezzo di vita non ha fatto altro che riversare quelle poche risorse disponibili sulle fasce meno fortunate della popolazione. Anche perché tra pandemia, crisi energetica, guerre e inflazione è evidente che i colpi più duri sono arrivati a chi sta peggio. Ed era lì che bisognava intervenire.
Il problema, come diceva Milton Friedman, è che i pasti gratis non esistono. E chi ve lo dice mente. Esattamente come nel caso del Superbonus, i nodi prima o poi vengono al pettine. Non si tratta solo di una brutta sorpresa, ma di un brusco ritorno alla realtà. Dove c’è sempre qualcuno che paga. E, indovinate un po’, a pagare è (quasi) sempre il ceto medio. Quello che versa le tasse (i contribuenti con redditi annui superiori a 35mila euro sono il 14% del totale e coprono quasi il 63% del gettito), che si rimbocca le maniche, che lavora, che aspira a guadagnare di più e a migliorare la qualità della vita. Quello che crea nel Paese la ricchezza necessaria ad aiutare chi ha bisogno.
Ed è per questo che nessuno dovrebbe sottovalutare i dati snocciolati ieri dall’indagine elaborata dal Censis per il Cida, il sindacato dei dirigenti pubblici e privati, da cui emerge che tra il 60% degli italiani che si sente di appartenere al ceto medio il 48,8% vive il timore di una regressione nella scala sociale mentre il 74,4% ha la convinzione di un concreto blocco della mobilità verso l'alto.
Fisco equo, meno burocrazia, più meritocrazia. Sono questi i principali fattori su cui le fasce medie della popolazione puntano per svolgere al meglio il loro ruolo nella società. A proprio beneficio, ovviamente, ma anche a beneficio del Paese. Non ci aspettiamo il nostro pranzo dalla benevolenza del macellaio e del fornaio, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse, diceva tanti anni fa Adam Smith in una celebre frase che buonisti, soldaristi e pauperisti dovrebbero ripetere tutte le sere prima di coricarsi.
Per carità, a parole sono tutti d’accordo. «Il ceto medio è il cuore dell'Italia e dal Rapporto Cida-Censis emerge una spinta verso il basso a cui dobbiamo dare una risposta», ha detto il leader di FI, Antonio Tajani. «Possiamo fare a meno di tutto tranne che del ceto medio», ha spiegato Maria Elena Boschi (Iv). Persino il piddino Antonio Misiani ha riconosciuto che «il ceto medio è il pilastro economico e sociale del Paese». Quando si tratta di distribuire i soldi e fare le riforme, però, i buoni propositi spesso svaniscono nel nulla. A sinistra, dove non si fa altro che parlare di patrimoniali, prelievi sui profitti, sussidi a pioggia e redistribuzione dei redditi c’è un’antica e radicata tradizione di ostilità che non è stata superata neanche con il cambiamento della propria base elettorale, ora concentrata nei centri storici delle grandi città più che nelle periferie e nei paesi. A destra, dove i germi della culturale liberale, liberista e pragmatica dovrebbero trovare un humus più favorevole, oltre alla mancanza oggettiva di materia prima (i conti dello Stato non sono in salute) difetta un po’ la volontà e il coraggio. Le linee del programma con cui la maggioranza si è presentata agli elettori, del resto, sono abbastanza chiare in proposito.
Difendere il ceto medio nel nostro Paese non è mai stato popolare. Ma è necessario. La sua sopravvivenza, piaccia o no, coincide con quella di tutti. «Siamo d'accordo sull'aiuto a chi ha più bisogno, ma non si possono colpire sempre gli stessi», ha detto il presidente del Cida, Stefano Cuzzilla, facendo capire che insieme alla benevolenza sta per sparire anche la pazienza.